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CULTURA

Atlante delle Nuvole incontra il poeta e traduttore Matteo Lefèvre

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Con il poeta Matteo Lefèvre si è svolto il terzo incontro della rassegna “Atlante delle Nuvole – Incontri con la poesia contemporanea”, iniziativa organizzata dalla Provincia e Sannio Europa in collaborazione con il cenacolo poetico Mandel (ideato e coordinato da Domenico Cosentino, Antonella Rosa, Nicola Sguera) e Casa Naima.

Lefèvre, critico, poeta e traduttore, rispondendo alle domande di Antonella Rosa, Nicola Sguera e Domenico Cosentino, ha affrontato vari temi a partire dal libro intitolato “La vera gloria”: “Si tratta di un lavoro che, in maniera ironica, parla di quello che resta della gloria umana: la scoperta della propria piccolezza e di un passaggio sulla nostra terra sempre più effimero, condito da violenze, guerre e sofferenza. Una sofferenza che non va vista come lamento, ma in chiave di cifra del quotidiano. Ecco che la ricerca di sé è anche la ricerca dell’ altro. C’è confronto continuo, per cui la guerra diventa anche metafora. Oggi è uno scontro perpetuo con se stessi, con gli altri, all’ interno di uno scenario sempre più desolato”.

Lefèvre parla anche di quanto possa essere importante per un traduttore avere un autore ancora in vita.

“È fondamentale perché si possono condividere i dubbi. È quanto di più auspicabile possa accadere a chi, come me, fondamentalmente è un traduttore di poesia”.

Ecco la differenza tra editori grandi e indipendenti. “Personalmente – afferma il poeta – mi è capitato di lavorare sia con editori indipendenti che con grandi editori. Con i grandi editori si è principalmente lasciati da soli. Si dà un incarico e lo si porta a termine, eventualmente con revisori e redattori nella fattispecie delle traduzioni. Con gli editori indipendenti, spesso, si ha più dialogo. Sono persone che si conoscono anche da vicino con le quali viene sposato l’ incarico professionale e il progetto”.

È molto importante la scelta della lingua da tradurre. “Scegliere una lingua da tradurre dipende dalla propria storia personale, ma, nel mio caso, anche da quella professionale, essendomi occupato per tanti anni di lingue e letterature ispaniche. È ovvio che quella che per molti è una lingua straniera per me è la lingua del cuore”.

“La figura del traduttore nel tempo si è rivalutata. Se pensiamo – aggiunge Lefèvre – che negli anni Sessanta c’erano edizioni che non riportavano i nomi dei traduttori; oggi, soprattutto per le opere di poesia che affronto spesso, il nome del traduttore non solo è in copertina, ma addirittura c’è un pubblico colto che cerca la traduzione di quel determinato traduttore, proprio perché sa in che modo lavora”.

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