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POLITICA

Acqua, la tariffa unica regionale è legge da 10 anni e avrebbe salvato le aree interne. Perché nessuno ha mosso un dito?

Quello a cui stiamo assistendo è uno spettacolo indecoroso. I rincari alle tariffe Alto Calore non sono discrezionali, ma tardivi e dovuti. La politica, che oggi litiga pensando alle regionali, ha scelto di salvare un ente fallito con un concordato ai limiti dell’impossibile, nel nome della gestione pubblica. Con la tariffa unica, stabilita per legge dieci anni fa, non saremmo in questa situazione. Ma a Napoli e Salerno i costi sarebbero aumentati e quel che vale per la sanità o per l’autonomia differenziata non può valere per la povera Irpinia e per il povero Sannio. Vergogna

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Tutti parlano, tutti hanno qualcosa da dire sulla drammatica crisi idrica che grava su buona parte delle nostre aree interne, la cui acqua, è sempre bene ricordarlo, disseta più di mezzo Sud. Tutti parlano ma nessuno, incredibilmente, dice la verità.

A rendere esplosiva la situazione, come noto, il deliberato del Consiglio di distretto irpino che nel bel mezzo di una crisi idrica prevista e prevedibile, anche nelle sue devastanti proporzioni, che ha disposto pesantissimi rincari alle tariffe di Alto Calore, ente tecnicamente fallito da almeno tre lustri, di cui sono soci quasi tutti i comuni irpini, compresa Provincia e capoluogo, e una trentina di comuni sanniti. Un ente devastato da decenni di sprechi e clientele che la politica ha deciso di salvare, attraverso un concordato pesantissimo, oltre i limiti della sostenibilità, in nome della gestione pubblica.

Alla notizia dei rincari sono tutti caduti dal pero, come se si fosse trattato di una scelta discrezionale assunta dal Consiglio di distretto irpino e non, invece, una scelta dovuta ed estremamente tardiva, come certificato dalla diffida che Arera, Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente, ha notificato il 28 febbraio scorso all’Ente Idrico campano, ad Acquedotto Pugliese, all’Idrico Terra di Lavoro e, ovviamente, ad Alto Calore.

Una diffida per comunicare ai destinatari l’apertura di un procedimento volto alla determinazione d’ufficio delle tariffe dei gestori del servizio idrico integrato, con la quale l’Arera concedeva trenta giorni per la comunicazione dei nuovi piani tariffari. In caso di ottemperanza l’Autorità avrebbe proceduto con le dovute ammende, bloccato tutte le linee di finanziamento pubblico ed imposto d’ufficio le nuove tariffe abbassandole di un 10 per cento netto. Una condanna senza appello per un ente gestore in concordato.

Ovviamente Alto Calore non ha ottemperato ed è arrivata una multa di circa 2 milioni e trecentomila euro. Quindi l’accelerazione del Consiglio di Distretto che ha deliberato il piano tariffario che doveva deliberare, in ossequio alla norma, in ossequio alla condizione di Alto Calore, dunque a quanto dispone il concordato. Ma a tre mesi dalle regionali cosa vuoi che siano i fatti?

Immediata ed inarrestabile l’ondata di indignazione, le prese di posizione a difesa della dignità delle comunità, della dignità dei cittadini che non possono accettare rincari nello stesso momento in cui sono costretti a convivere con una emergenza idrica di questa portata (va ricordato che in molti comuni l’acqua è razionata anche in pieno inverno), pur vivendo in territori così ricchi di acqua.

L’Amministratore unico di Alto Calore, recependo le sollecitazioni di molti sindaci, ha convocato per il 25 agosto, in seconda convocazione, l’assemblea dei soci. Contestualmente, il Presidente della Provincia di Avellino, Rizieri Buonopane, ha annunciato la presentazione in assemblea di un documento volto a deliberare il congelamento dei rincari ed il rinvio di ogni discussione al prossimo anno, trovando sponda nelle dichiarazioni di molti sindaci e riferimenti, e nella determinazione del Consiglio di distretto a non procedere con l’approvazione dei rincari.

Alla fine, come da tradizione, tutto si risolverà in una resa dei conti che nulla avrà a che fare con il presente e il futuro dei territori, con quanto dispone la norma, con la verità. Da una parte il fronte deluchiano e regionale che proverà a serrare i ranghi sul presupposto che senza rincari Alto Calore fallirà e si spalancheranno le porte al privato, dall’altro coloro che nel centrodestra come nel Pd si oppongono al fronte deluchiano e puntano a lucrare sul disappunto dei cittadini vessati ergendosi a difensori della dignità dei territori. Tutt’al più la resa dei conti potrebbe essere in qualche modo congelata da un futuribile intervento della Regione, invocato da molti nemmeno sottovoce, per garantire le risorse necessarie a scongiurare i rincari senza compromettere la sopravvivenza di Alto Calore. Ma di questo poco c’interessa.

Il punto vero della questione è un altro. La legge quadro regionale sul ciclo integrato delle acque fu approvata, primo firmatario Fulvio Bonavitacola, ormai dieci anni fa. Quella legge prevede la tariffa unica regionale. Insomma, tutti i cittadini campani, ormai da quasi due lustri, dovrebbero pagare la stessa tariffa. Obiettivo facilmente perseguibile attraverso banali meccanismi di perequazione che avrebbero risolto a monte ogni problema per quel che riguarda l’Irpinia e le aree interne, determinando inevitabili quanto giusti aumenti delle tariffe negli altri territori, in primo luogo nelle province di Napoli e di Salerno. Una norma semplice semplice e bellissima, volta a garantire il medesimo principio nel nome del quale, accanto al governatore De Luca, tutti abbiamo combattuto contro l’autonomia differenziata, il medesimo principio a cui tutti ci rifacciamo da anni per rivendicare equità nella ripartizione dei fondi per la sanità.

Nulla si è mosso, nessuno ha voluto combattere questa battaglia. Non hanno voluto i consiglieri regionali che ci hanno rappresentato in questi dieci anni a partire da quelli che hanno occupato i banchi della maggioranza e che oggi allegramente si ripropongono. Non hanno voluto i sindaci, gli amministratori, tutti coloro che sui territori avrebbero dovuto e potuto costringere i cosiddetti riferimenti a fare le barricate in Consiglio regionale e a Santa Lucia. Non hanno voluto nemmeno coloro che avrebbero avuto tutto l’interesse, per collocazione politica, ad intestarsi questa crociata.

Nessuno ha combattuto l’unica battaglia da combattere, tutti hanno ballato sulla carogna di Alto Calore. Che in assenza di quei rincari è destinata a fallire a meno che, come detto, la Regione non interverrà, con una forzatura enorme, per garantire le risorse necessarie. Fermo restando che seppure dovesse accadere si tratterebbe di ulteriore accanimento terapeutico, funzionale solo a rinviare l’inevitabile.

In tale quadro l’unica speranza che possiamo ragionevolmente coltivare è che tutto salti una volta per tutte. A questo punto l’ingresso del privato nella gestione del ciclo integrato delle acque non è solo inevitabile ma anche auspicabile, persino per noi, i più accaniti oppositori del processo di privatizzazione teorizzato anni fa, ancora convinti che l’acqua non è un bene come tutti gli altri, per cui si può distinguere a cuor leggero tra proprietà e gestione.

Perché certi principi possano essere difesi e propugnati, d’altro canto, è necessario che la politica abbia spalle sufficientemente larghe. Soprattutto quando quei principi sono funzionali all’interesse di territori marginali, leggeri in punto elettorale. Avremmo avuto bisogno di giganti e ci siamo ritrovati circondati da nani. La gestione pubblica è servita a queste classi dirigenti per legittimare, a dispetto dei numeri e della logica, la sopravvivenza di un irrinunciabile carrozzone, di un formidabile presidio di consenso e clientele.

In questi anni Alto Calore si sarebbe potuta salvare solo attraverso le leve del merito, della trasparenza, dell’efficienza, attraverso la capacità delle nostre classi dirigenti di imporre una visione che andasse oltre la vana rincorsa di un comodo miracolo, e soprattutto di fare la guerra a Napoli per ottenere quello che ci è dovuto. Per legge. Il sistema non regge più. La gestione pubblica non è più un’opzione sostenibile. Ed è paradossalmente un bene, visto che più nera di questa mezzanotte non po mai venì.

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