ECONOMIA
La magia di Laura De Figlio, dalla stampa all’Atelier: ‘Ogni sposa mi affida la sua storia da raccontare. Non le vendo un abito, ma un’emozione per la vita’

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Ci sono vite che si snodano lungo percorsi inattesi, ma che finiscono per approdare esattamente dove dovevano essere. Quella di Laura De Figlio è una di queste. Un tempo giornalista appassionata per “Il Quaderno” e volto televisivo, oggi è il cuore pulsante del raffinato Atelier Emé di corso Garibaldi, a Benevento. Una donna che racconta ancora storie, ma lo fa attraverso pizzi e tulle, lacrime di gioia e confidenze sussurrate tra un abito da sposa e uno specchio illuminato. In questa intervista, Laura ci accompagna tra le pieghe del suo percorso umano e professionale: dalla scoperta casuale di un mestiere che oggi è vocazione, fino alla difesa appassionata di un centro storico che rischia di perdere l’anima. Con la delicatezza di chi conosce il valore dei dettagli, ci racconta di donne che si affidano a lei in uno dei momenti più intensi della loro vita. Ma ci offre anche uno sguardo lucido sulla sua città, chiedendo meno ostacoli e più visione, affinché il cuore di Benevento non smetta di battere.
Laura, da giornalista a imprenditrice nel mondo della moda sposa. Com’è nato questo cambiamento?
È stato un cambiamento nato quasi per caso. Dopo essermi sposata e aver scelto il mio abito proprio da Atelier Emé, qualche mese dopo sono tornata in negozio per un saluto. Durante quella visita, parlando con la titolare, è emersa l’idea della cessione dell’attività, e lei stessa mi ha proposto di rilevarla. Ne ho parlato con mio marito e con mia cognata, e così ho iniziato questa avventura insieme a lei. Doveva essere un supporto temporaneo, ma è diventata una vera passione. Quando mia cognata ha lasciato, sono rimasta da sola a gestire l’atelier. Ho continuato per un po’ anche la carriera giornalistica, ma con il trasferimento del negozio da via Meomartini a corso Garibaldi — un progetto ambizioso e importante — ho scelto di dedicarmi completamente a questa attività.
Ma lo sguardo da giornalista è rimasto…
Sì, assolutamente. Anche se oggi faccio altro, continuo a osservare il mondo con l’occhio della giornalista. Il mio approccio è rimasto quello: ascoltare, interpretare, emozionarmi. Da bambina amavo raccogliere le storie dei miei nonni, ascoltare i racconti della guerra, osservare le persone. E poi avevo un’altra passione: disegnare abiti. Alla fine, la vita ti riporta sempre lì dove sei destinata, se non sei costretto ad accontentarti. Per me, l’Atelier Emé non è mai stato solo un negozio: ogni giorno è un racconto da vivere.
Racconti di donne, di famiglie, di momenti unici…
Ogni sposa che entra porta con sé una storia. Scegliere un abito da sposa è un momento carico di emozioni, non solo per chi lo indossa, ma anche per chi le sta accanto. Il nostro lavoro non è solo vendere un vestito: è accompagnare un evento irripetibile. Le clienti si confidano, si aprono. Spesso divento una sorta di confidente, un punto fermo in un momento tanto delicato e speciale.
Negli ultimi anni il settore è cambiato molto. In che modo?
È cambiato il modo in cui si vive il matrimonio. Un tempo l’abito da sposa era il centro simbolico di tutto. Oggi, invece, molte coppie arrivano al matrimonio dopo aver già costruito una vita insieme, spesso con figli. Il matrimonio diventa una festa, un suggello, più che un punto di partenza. È cambiato anche l’approccio emotivo: c’è meno idealizzazione, più consapevolezza.
E le tendenze attuali quali sono?
Le spose cominciano a informarsi già da ora per la prossima stagione. Lo stile che va per la maggiore richiama una femminilità classica, quasi rinascimentale: abiti eterei, candidi, ricami delicati, fiori, tessuti puliti che evocano figure come la Venere del Botticelli. Ma oltre alle mode, ciò che conta davvero è che ogni donna scelga un abito che la rappresenti. Dico sempre alle mie spose: dovete riconoscervi allo specchio. L’abito da sposa non deve essere un travestimento, ma un’estensione di ciò che sei.
C’è una storia, tra le tante, che porti nel cuore?
Una ragazza era venuta da me per l’abito, ma poco dopo ha affrontato una gravissima malattia, con pochissime speranze. In cuor mio mi ero detta: “Se ce la fa, voglio regalarle l’abito”. E così è stato. Quando è tornata in Atelier, l’ho accompagnata nella scelta senza dirle nulla. Al momento della conferma, le ho detto che l’abito era il mio regalo per la sua rinascita. Ma la verità è che ogni storia mi emoziona: quando vedo le mie spose tornare anni dopo, con i loro figli, è una gioia che ripaga tutto.
Parliamo di Benevento e del suo centro storico. Com’è la situazione per voi commercianti?
Dico con sincerità: non ci sentiamo supportati. Non pretendo che le istituzioni risolvano tutto per noi, ma almeno che non ci ostacolino. Il corso Garibaldi è pedonalizzato da oltre vent’anni, ma non è mai stato pensato un vero progetto per gestire questa scelta. L’accesso è difficile, i parcheggi scarsi, e molte attività hanno chiuso. Il cliente spesso rinuncia perché non riesce nemmeno a parcheggiare. Non è vero che il beneventano non voglia camminare: è che non ha tempo da perdere nel traffico.
Quali soluzioni proponete?
Abbiamo chiesto una revisione della ZTL e una gestione più intelligente degli spazi di sosta. I parcheggi dei residenti, ad esempio, restano vuoti per buona parte della giornata. Potrebbero essere resi disponibili in orari prestabiliti. Stavamo pensando a un Comitato di commercianti per trovare soluzioni condivise. Purtroppo si va verso una delocalizzazione del commercio, verso modelli come la grande distribuzione, che snaturano l’identità della nostra città. Benevento ha una bellezza lenta, che va assaporata. Anche lo shopping dovrebbe essere un’esperienza, non una corsa. E poi permettimi di aggiungere una cosa, senza alcuna polemica.
Prego.
Vorrei che l’amministrazione vivesse il centro storico come un normale cittadino. Vorrei che un assessore provasse a trovare parcheggio il martedì mattina alle 10, per capire le nostre difficoltà e quelle dei nostri clienti. Purtroppo la politica e il commercio viaggiano su binari diversi: noi abbiamo urgenze quotidiane, mentre la politica ha tempi troppo lunghi.
E guardando al futuro, cosa vedi?
Sinceramente, non sono ottimista. Le piccole città, soprattutto al Sud, si stanno spopolando. I giovani non restano, non perché qui si stia male, ma perché mancano lavoro e opportunità. Eppure Benevento ha potenzialità: l’università funziona, abbiamo competenze, bellezza, identità. Servirebbe il coraggio di crederci, per trattenere chi è andato via e attrarre nuove energie.