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Cittadini

‘Asl, sede della Salute Mentale ultimo dei problemi. Si adeguino risorse ed empatia’

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“Gentile redazione, apprendo dalla stampa locale del progetto dell’Asl di Benevento per dotare di una nuova sede il Dipartimento di salute mentale. E penso che disporre di spazi adeguati sia importante per una struttura sanitaria. Ma bisognerebbe “adeguare” anche le risorse umane, la loro empatia, la loro capacità di ascoltare, accogliere e supportare l’umanità fragile che ad esse si rivolge.

Mi chiamo G.P., oggi ho 31 anni e nel 2003, quando avevo solo 11 anni, la mia famiglia è entrata nel radar dei servizi sociali del Comune di San Leucio del Sannio. I miei genitori avevano entrambi problematiche psichiche e fisiche complesse, e con noi viveva uno zio con problemi di schizofrenia e ritardo mentale.

Fino ad allora ci avevano gestiti i nonni materni, nonostante ci fossero grandi difficoltà economiche. Io e mia sorella Antonella, all’epoca di 14 anni, siamo stati affidati a diverse case famiglie senza fare più ritorno a casa fino al compimento dei 21 anni: per 4 anni sono state interrotte anche le visite dei nostri genitori presso le strutture che ci ospitavano.

Al compimento dei 21 anni per Antonella era previsto il rientro a casa dai nostri genitori, nonostante fossero ancora presenti gli stessi problemi di sempre: dopo qualche mese mia sorella mostra assenza di igiene personale e malnutrizione, perde l’autonomia personale, minaccia il suicidio e viene ricoverata presso il reparto di Psichiatria.

Poco più che maggiorenne decido di assumere la qualità di tutore di mia sorella e chiedo, inutilmente, supporto ai servizi sociali di San Leucio. Antonella viene trasferita in una struttura di assistenza, dove comincia un progetto terapeutico riabilitativo individualizzato. Le sue condizioni migliorano, ma alla conclusione del terzo anno del Ptri la commissione medica e i servizi sociali ritengono opportuno che Antonella ritorni a casa, dove intanto le condizioni del nucleo familiare sono addirittura peggiorate. Per non vederla tornare nel baratro ho deciso di farle continuare il progetto riabilitativo privatamente, sostenendo costi di 1000 euro al mese.

A 18 anni torno dai miei genitori, mi occupo di tutto cercando di risollevare quelle vite, quelle memorie che si erano fermate diversi anni prima, perché i problemi non sono certo svaniti, anzi la situazione si è complicata, purtroppo la mia permanenza in quel contesto durò poco tempo. Vado a vivere da solo, mi reco ogni giorno dai miei genitori per pulire la casa, fare la spesa, accompagnarli dai medici. Divento anche amministratore di sostegno di mia madre. E continuo a chiedere aiuto ai servizi sociali di San Leucio del Sannio nonché al Dipartimento salute mentale presso l’Asl di Benevento, dove mia madre e mio zio materno erano in cura da moltissimi anni.

Mi sono battuto in particolare per ottenere assistenza domiciliare dai servizi sociali e dal Dsm. Ma i servizi sociali non hanno accolto la richiesta perché a mia madre mancava il certificato “giusto” pur essendo stata dichiarata invalida al 100%. Quanto al Dsm, benché mia madre dovesse seguire una terapia tutti i giorni due volte al giorno, ha attivato l’assistenza domiciliare solo per tre giorni alla settimana. Mia madre si aggrava, con crisi epilettiche e stati confusionali che hanno reso necessario anche l’intervento del 118 e l’attivazione di un trattamento sanitario obbligatorio. Il Dsm a fronte di tutto questo si è limitato a modificare la terapia farmacologica e mia madre dopo il Tso è stata rimandata a casa da mio padre e mio zio, non certo in grado di aiutarla avendo entrambi, come già spiegato, grossi problemi.

Dopo l’ennesimo ricovero decido di fare trasferire mio padre, le cui patologie si sono aggravate, in una Rsa, ancora una volta, non ricevendo alcuna assistenza da parte di enti pubblici o istituzioni. E veniamo agli ultimi mesi. Durante il periodo natalizio mia madre ha continuato ad avere ripetute crisi dovute alla mancata somministrazione domiciliare della terapia da parte degli infermieri del Dsm: tante volte ho chiesto aiuto e spiegazioni ricevendo sempre la solita risposta: “Ci sono altre esigenze e non abbiamo infermieri a sufficienza per coprire tutti gli interventi”.
Il 19 gennaio mia madre ha una forte crisi epilettica, cade e finisce con la testa nel camino ustionandosi gravemente al volto e al capo. Ricoverata al “San Pio” di Benevento, viene poi trasferita d’urgenza in terapia intensiva presso il “Cardarelli” di Napoli. Mia madre è ancora ricoverata in gravissime condizioni; ha affrontato diversi interventi chirurgici e se sopravviverà lo farà con danni irreversibili.

Una regolare somministrazione della terapia avrebbe scongiurato l’accaduto. Mia madre è vittima dell’inerzia e delle omissioni del servizio sanitario, e con questa convinzione ho sporto denuncia affinché vengano individuati i responsabili della situazione, nella speranza che la nostra devastante vicenda induca i “decisori” a dare la giusta importanza al tema della salute mentale e ai diritti dei pazienti”.

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