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‘Ex detenuto, sono ripartito da zero e sulla strada giusta, ma vedo tanti pregiudizi nei miei confronti’

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Gentile dottoressa,
le scrivo per raccontarle un disagio che vivo da qualche mese. Ho finito di scontare una pena per spaccio e sono tornato alla vita di tutti i giorni con la convinzione di non voler sbagliare più e di ripartire da zero. Sto provando a riabilitarmi socialmente, provando a costruire un ponte con la realtà esterna. Ho trovato un lavoro, semplice ma onestissimo, faccio sacrifici come tutti, cerco di essere ora un buon esempio per il mio bambino. Ho sbagliato, lo so, ma mi rendo conto che la società ha tanti pregiudizi rispetto a coloro che hanno compiuto reati: è difficile perdonare, riconoscere che colui che è stato detenuto possa ricominciare a “vivere”. Ho trovato persone speciali che mi hanno aiutato, ma anche tanti occhi puntati, tanti pregiudizi, tante difficoltà. Come ridurre sensibilmente questa distanza? Dal canto mio, ce la metterò tutta per guadagnarmi questa fiducia con gli altri.

Gentile lettore,
La ringrazio per avermi scritto e per aver comunicato apertamente il suo disagio. La seguente rubrica vuol essere un contributo istituzionale per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi di grande attualità e di interesse psicosociale che emergono dalle lettere che ci inviate, lettere che diventano spunto ed essenza della riflessione. Questo lavoro di sensibilizzazione e prevenzione ci è stato molto utile, sia a livello provinciale che regionale, probabilmente anche nazionale, ed anche lei, con questa lettera, ha fornito a tutti noi un prezioso contributo.

Quello che Lei vive, come molte altre persone, è un disagio sociale legato agli stereotipi, ai pregiudizi ed alle ghettizzazioni. Lei non sa che il pregiudizio è la forma di pensiero più radicata in una determinata cultura ed anche la più difficile da debellare. Si pensi alle forme di pregiudizio più gravi legate alle minoranze, così come a tutti i livelli sociali. Queste forme di pensiero, dunque, non risparmiano nessuno. Non voglio demoralizzarla, sia chiaro, ma è più semplice cambiare il suo atteggiamento nei confronti del problema che il problema stesso, non potendo agire su tutte le menti del mondo. Lo stereotipo dell’ex detenuto, comunque, quello con la fedina penale “macchiata”, o sporca, non è escluso da queste forme pregiudizievoli. Per quanto si parli di inclusione lavorativa e buone prassi riparative, la strada dell’inclusione è ancor lunga.

Tuttavia, dal punto di vista psicologico, più che sociale, io le consiglierei un consulto diretto con uno specialista di sua fiducia per non aggravare disturbi legati all’emarginazione, collegati alla sfera mentale, l’ansia e la depressione in primis. Immagino, inoltre, che la sua storia di vita sia stata sicuramente intensa, e che la sua esperienza trascorsa in carcere sia stata profonda e complessa, per questa ragione dovrebbe richiedere un confronto con figure professionali adeguate che riescano ad aiutarla anche e soprattutto nello sviluppo di competenze, capacità cognitive, comportamentali, relazionali specifiche, fondamentali nel suo caso.

Da Psicologa, Specializzata in ambito Cognitivo Comportamentale, credo non si possa salvaguardare un soggetto fragile, che cerca un reinserimento sociale, senza una pianificazione adeguata del suo reintegro in società. Ad ogni modo, da ciò che scrive, il disagio parte dal sentirsi “occhi puntati” e da una certa “distanza”, bisognerebbe comprendere meglio, analizzando vari aspetti, per centrare il problema.

Le mie previsioni cliniche, riferite alla comparsa di una specifica sintomatologia, sono da considerarsi meno rilevanti in questa fase; lei dovrebbe anzitutto evitare ogni tipo di “ricaduta”. Questa, per il suo bene, è la cosa più importante. Le previsioni son presto fatte e descritte in tanti studi scientifici mai applicati, la letteratura ci dice in sintesi che un buon reintegro, una buona inclusione sociale, e magari una buona prevenzione socio e psicoeducativa, potrebbero essere la soluzione ai tanti gravi problemi di emarginazione, ghettizzazione, deviazione, delle fasce deboli e fragili della popolazione, ma anche di ordine organizzativo penitenziale. La condizione attuale delle carceri ci porta a riflettere costantemente su questo. Tuttavia, io lavoro sul singolo individuo e in minima parte, per quel che posso, modellando un contesto. Credo, quindi, non basti risponderle qui, in questa lettera, perché non basterebbe.

Le auguro di proseguire, come sta già facendo, sulla giusta strada, senza abbattersi. Certa che, nonostante le difficoltà e i limiti che incontrerà, riuscirà a ricostruirsi una vita ed un futuro degno ovunque. Conti pure su di me per il supporto.

Cordialmente,
Dott.ssa Melania Catillo
Per un consulto o ulteriori info: email melaniacatillo@gmail.com
Telefono: 3201988263

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