Cittadini
Contrada “San Vito”, la riflessione di un cittadino: “Salviamo il palazzo della ex fabbrica Fantozzi”

Ascolta la lettura dell'articolo
“Dopo la demolizione della palazzina uffici e la costruzione del fast-food, sembra imminente la demolizione del “palazzo” della ex fabbrica Fantozzi: ciò induce ad una riflessione sulla natura stessa degli interventi urbanistici e sul fatto che gli stessi vanno realizzati in modo integrato tra pubblico e privato: gli interessi privati trovano realizzazione in un progetto che ha finalità pubbliche di riqualificazione del contesto urbano e di soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Il privato realizza, in quota parte per obbligo di legge, opere che vengono acquisite dall’amministrazione e destinate alle funzioni pubbliche necessarie e funzionali al contesto. Tornando alla ex fabbrica Fantozzi tutto questo non è ancora avvenuto (forse non avverrà mai) ed il quartiere oggi sopporta il peso, in termini ambientali e sociali, di un insediamento che non ubbidisce in alcun modo alla logica citata”. Così in una nota il cittadino Romeo Pisano che interviene con una riflessione in merito al quartiere “San Vito”.
“Il quartiere – aggiunge – 60 anni or sono, contava un quarto degli attuali abitanti ed era “perfetto”: campi da calcio, pallavolo, bocce, salone per le attività di dopolavoro e feste, spaccio a prezzo calmierato, ambulatorio medico dotato di attrezzature radiologiche di prim’ordine in un tempo in cui non esisteva ancora la mutua, una fornitissima biblioteca e una chiesa ancora visibile sul lato del “palazzo”. Avevano addirittura una squadra di calcio interamente costituita da operai che durante gli allenamento venivano esentati dal lavoro; domineranno le serie minori fino ad arrivare ai campionati semiprofessionisti: la mitica “SanVito”,che prendeva il nome del quartiere e che arrivò alla soglia della serie B. Il quartiere aveva tutto quello che il resto della città neanche immaginava o, forse, desiderava, un’isola felice in una città che da anni stentava ad uscire dalla crisi della guerra. Ai giorni nostri gli abitanti sono cresciuti e con essi il disagio ed il degrado.
Non è più visibile il profilo del gioiello di architettura industriale con la sua enorme ciminiera – spiega -, ma un centro commerciale che sta lentamente divorando i tratti di quel mondo per sostituirli con qualche fast-food impersonale. Prima che ciò avvenga forse è il caso di fare qualcosa, per esempio recuperare gli edifici ricreativi ancora presenti nella zona sottostante il centro commerciale destinandoli a centro sociale per il quartiere, una sorta di casa dei cittadini in cui far crescere il senso di comunità che oggi manca. Recuperare, inoltre, il “palazzo” da destinare a servizi pubblici e privati, nonché a sede per le associazioni di volontariato, può rappresentare un passo decisivo per la riqualificazione e un ottimo mezzo per costruire una rete in grado di gestire con responsabilità le dotazioni del quartiere.
L’immaginazione poi fa il resto – conclude – e vedo un grande parco con impianti sportivi diffusi e fruibili ed un percorso che, attraversando il quartiere, valica la collina fino alla confluenza dei fiumi. Ma questa è fantascienza, accontentiamoci del poco che si può fare: salviamo il Palazzo”.