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POLITICA

Regionali, Abbate: “Le mie idee per promuovere agricoltura e turismo”

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“L’agricoltura deve diventare il settore pivot su cui far girare l’economia della provincia di Benevento, non solo per i numeri che è in grado di muovere ma per il valore che rappresenta per la tutela del territorio, per la valorizzazione dell’identità, per l’attrattività che è in grado di esercitare verso i visitatori”. Giulia Abbate, candidata alle elezioni regionali per la lista Fare Democratico – Popolari, presenta così in sintesi il suo pensiero su due settori chiave: agricoltura e turismo.

“Le azioni da fare sono tante e non basterebbe una campagna elettorale ad elencarle – aggiunge Abbate -, ma è arrivato il tempo di aprire un tavolo di lavoro per il riconoscimento del marchio europeo DOP (denominazione di origine protetta) all’olio extra vergine d’oliva prodotto nel Sannio. La provincia di Benevento è l’unica a non avere questo importantissimo riconoscimento per il proprio olio, eppure abbiamo circa il 20% degli uliveti dell’intera regione. Non è possibile pensare di relegare questo straordinario prodotto a elemento secondario della nostra agricoltura. I dati di crescita qualitativi dimostrano che l’olio sannita è già assoluto protagonista. Non passa anno che un’azienda olivicola della nostra provincia non riceva un premio, regionale o nazionale. Nel Sannio esistono cultivar di assoluta eccellenza, che non hanno nulla da invidiare a quelle di altre zone. Le nostre varietà tipiche sono l’Ortice, l’Ortolana e la Racioppella. A queste autoctone vanno aggiunte il Leccino e il Frantoio, che pur non essendo autoctone sono presenti da lungo tempo. Il riconoscimento di una DOP all’olio extra vergine del Sannio è necessaria anche per intercettare le opportunità offerte dalla recente approvazione della legge sull’oleoturismo, che ricalca quanto già fatto per l’enoturismo, di cui parleremo più avanti. Per oleoturismo si intendono le attività di conoscenza dell’olio d’oliva espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura e produzione, l’esposizione degli strumenti utili alla coltivazione dell’ulivo. In questa tipologia di turismo in aree rurali rientrano la degustazione e la vendita delle produzioni olivicole aziendali, anche in abbinamento ad altri alimenti freddi, e le iniziative a carattere didattico e ricreativo. Possiamo permetterci di stare a rimorchio di altri e non puntare sul nostro olio extra vergine? Penso proprio di no. Sarà mio impegno stimolare il Consiglio Regionale, l’Assessorato all’Agricoltura e le associazioni di categoria nella costruzione del percorso di riconoscimento europeo, colmando un gap inaccettabile.

Sono convinta – aggiunge – che la chiave del successo della nostra agricoltura sia tutta nella multifunzionalità, una rivoluzione introdotta dalla legge di orientamento quasi vent’anni fa, ancora da valorizzare fino in fondo. Un’azienda agricola, oltre a produrre, può trasformare, confezionare e vendere direttamente, ma può anche offrire servizi. Tra questi il più conosciuto è l’agriturismo nella sua forma classica della ristorazione. C’è un grande mondo da esplorare, a partire dall’ospitalità con le camere, ma bisogna andare oltre. In un’azienda agricola multifunzionale si può svolgere l’attività di fattoria didattica e di agriasilo, oltre ad erogare veri e propri servizi sociali. Riassumendo, la multifunzionalità è la leva su cui costruire il successo del turismo nel Sannio ed è un elemento di forza per sostenere le comunità rurali. Senza una forte spinta a sostegno della multifunzionalità, ogni progetto di promozione diventa velleitario e autoreferenziale. Se non si costruisce una rete di produzione e trasformazione, di accoglienza e di servizi, il nostro territorio non sarà mai attrattivo. Per questa ragione intendo impegnarmi con tutte le forze nel prossimo Consiglio Regionale a favore di investimenti economici a sostegno della multifunzionalità, sia nella nuova programmazione dei fondi europei, sia attraverso un’attività legislativa che semplifichi la vita agli imprenditori agricoli, creando anche un indotto importante. Abbiamo tutti gli elementi e le risorse per un Sannio in testa e all’avanguardia in questo campo.

E’ noto che in provincia di Benevento c’è la metà dei vigneti della Campania – sottolinea Abbate -, così come è noto che il rapporto tra chi produce uva e chi imbottiglia è di uno a cento. Nonostante i grandissimi passi in avanti compiuti negli ultimi dieci anni, con la nascita di decine di cantine e con gli investimenti delle grandi cooperative, è ancora vivo il mercato dell’uva. Come accadeva nel secolo scorso, arrivano i compratori da tutta la regione ad acquistare le uve, spesso mortificando gli agricoltori nel riconoscimento del giusto valore. C’è chi pensa che abbiamo già raggiunto l’apice nel vitivinicolo, ma la strada da percorrere è ancora lunga. I nostri vini cominciano ad essere competitivi sui mercati ma i numeri dell’export ci dicono che siamo ancora lontani dall’essere leader. Tuttavia il trend è positivo e va accompagnato con qualità, innovazione e aggregazione. Se abbiamo l’ambizione di diventare un territorio produttivo al pari del Chianti, della Franciacorta, dell’Oltrepò Pavese o delle Langhe, abbiamo bisogno di alzare il valore dei vini a partire dai vigneti.
Si è parlato tanto di Falanghina, che ha conquistato una giusta visibilità e un buon successo, dovuto anche all’intervento di enologi importanti che sono intervenuti sui processi produttivi. Ma il Sannio è anche Aglianico, su cui non possiamo perdere la partita dei vini rossi, alla luce delle quantità che produciamo. L’Aglianico del Taburno è l’ultimo arrivato tra le DOCG campane e non ha nulla da invidiare al Taurasi. La consapevolezza di essere diventati un “terroir”, come dicono i francesi, ci sarà quando non sarà più conveniente svendere l’uva, ma produrre vino. Sentirsi parte di un “terroir” significa che in tutti i ristoranti, pub e bar si offra vino del Sannio con orgoglio. La strada della qualità e della competitività è appena iniziata. Sono convinta che il sostegno a questo comparto strategico debba passare da questi paletti. Abbiamo ancora tanto da lavorare e sono pronta ad impegnarmi per un Sannio in testa alla produzione di grandi vini e ai circuiti dell’enoturismo.

Vi è capitato tante volte di girare l’Italia e la Campania – scrive ancora -, incrociando sulla vostra strada la segnaletica che esalta l’offerta turistica, le ricchezze storiche e paesaggistiche, i siti Unesco, le eccellenze agroalimentari. Ovunque, ma non sulle principali strade che portano verso la provincia di Benevento. A partire dall’uscita sulla A1 e lungo tutta la Telesina, come sulla A16 Napoli Bari, non c’è un cartello (dico uno!), che ricordi le nostre eccellenze. Non dico tutte, perché sono tantissime, ma almeno il sito Unesco di Santa Sofia e il Museo del Sannio. E sarebbe del tutto riduttivo perché escluderebbe l’Arco di Traiano, il più spettacolare al mondo. Così come il teatro romano, il duomo di Benevento, la basilica di San Bartolomeo Apostolo con le reliquie del santo. Ma oltre a Benevento città l’elenco diventerebbe infinito: Sant’Agata de’ Goti, il Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio con il vaso che raffigura “Europa”, Pietraroja, le ceramiche di Cerreto Sannita e San Lorenzello, le Terme di Telese, Apice Vecchia, Faicchio, Cusano Mutri e potrei continuare a lungo dimenticando ancora qualche sito straordinario.
Nonostante tutta questa enorme bellezza, nessun segnale invita i passanti a scoprirla. Sarà mio impegno nel prossimo Consiglio Regionale mettere in campo fondi per una segnaletica turistica degna di questo nome, con il Sannio in testa. Se il Benevento Calcio è arrivato in serie A, è arrivato il tempo di portare tutto il Sannio nella serie A dei territori più attrattivi d’Italia. Non basta l’orgoglio di appartenenza predicato, va anche praticato.

Con l’approvazione da parte della Regione Campania del progetto di fattibilità tecnica ed economica delle opere per l’utilizzo potabile e irriguo delle acque dell’invaso della diga di Campolattaro, si apre per il Sannio e per tutto il sistema idrico regionale una rivoluzione che vale un investimento di circa 480 milioni di euro – spiega ancora -. Dopo 40 anni di attesa, il completamento delle opere di derivazione metterà a disposizione circa 48 milioni di metri cubi d’acqua per uso irriguo, ossia oltre il 60% della portata massima derivata, pari a 7.600 litri al secondo. Ciò consentirà di raggiungere con l’irrigazione, complessivamente, un territorio di circa 15 mila ettari. La disponibilità dell’acqua consentirà all’agricoltura della provincia di Benevento una vera e propria “rivoluzione colturale”, consentendo la conversione in coltivazioni a maggiore redditività, come ad esempio il pomodoro. Il mio impegno in Consiglio Regionale sarà mettere in campo tutti gli sforzi possibili per accelerare i tempi di realizzazione, vigilando allo stesso tempo sulle opere a valle della condotta principale, dando vita ad impianti irrigui moderni ed efficienti, puntando sull’innovazione tecnologica per un’irrigazione di precisione per nuove produzioni di qualità e di soccorso per le colture di eccellenza, come i vigneti, per aumentare la resilienza verso i cambiamenti climatici.
Con maggiore disponibilità di acqua cresce l’agricoltura, cresce la redditività delle colture, cresce l’economia del territorio, crescono le nostre comunità. Il Sannio in testa.

C’è un tema che da tre anni attende un quadro risolutivo – conclude -: l’istituzione del Parco Nazionale del Matese. Ad oggi l’iter risulta fermo per i dubbi ancora non sciolti da parte delle due Regioni coinvolte: la Campania e il Molise. Il Parco Nazionale, nella nostra regione, coinvolge sia Comuni della provincia di Caserta che di quella di Benevento. Le sollecitazioni e le preoccupazioni espresse sono state tante e tutte supportate da motivazioni comprensibili, tuttavia bisogna mettere il dito nella piaga per uscirne fuori. L’istituzione di un Parco nazionale è una straordinaria opportunità per i territori coinvolti per il valore che rappresenta sia da un punto di vista ambientale che turistico. Ma c’è la preoccupazione da parte dei Comuni e del mondo agricolo di un effetto “mummificazione” del territorio a causa di eccessivi vincoli. Lo sforzo della Regione Campania – e questo è l’impegno che prendo – deve trovare un denominatore comune che tenga insieme le istanze degli ambientalisti e quelle di Enti locali e agricoltori. È del tutto evidente che la vasta area del Parco fino ad oggi è stata tenuta viva grazie al lavoro degli agricoltori, che con le colture e la gestione dei pascoli hanno costruito il valore che oggi si intende celebrare. Questo non dimentichiamolo, altrimenti diventa un dialogo tra sordi. La radice del problema si chiama “clausola di salvaguardia” e sta nell’art. 6 della Legge 394 del 1991. È la legge nazionale che istituisce i Parchi. Quello che preoccupa i Comuni e le imprese agricole è l’intervento dall’alto da parte del Ministero dell’Ambiente che imponga vincoli rigidi. Visto che il legislatore può intervenire, è necessario portare la questione sull’unico tavolo in grado di risolverla: un confronto tra Ministero dell’Ambiente, Regione Campania e Regione Molise. Solo stabilendo regole chiare e condivise si potrà rispondere ai dubbi di tutti. Se da una parte non possiamo immaginare di ingessare il territorio impedendo ad un allevatore di realizzare una stalla, oppure ad un Comune di recuperare beni architettonici o di rendere più confortevoli i servizi, allo stesso tempo il Parco nazionale deve poter essere uno scrigno di biodiversità, conservando e valorizzando il patrimonio naturale. In conclusione il mio impegno per il Parco è lavorare per trovare una soluzione che metta insieme la valorizzazione ambientale e la lotta allo spopolamento. I borghi, con i suoi agricoltori, sono parte integrante del territorio da difendere”.

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