PRIMO PIANO
Seminario, la nuova organizzazione decisa da Accrocca: “A Benevento resta quello minore”
La decisione dell’arcivescovo sannita nella relazione introduttiva in occasione dell’inizio dell’anno pastorale
Ascolta la lettura dell'articolo
“È necessario porsi in ascolto attento per propiziare quell’incontro che cambia la vita. È necessario mettersi in ascolto del Signore, che ci parla attraverso la sua Parola e attraverso la storia che ci dona di vivere: è la Parola a fornirci gli strumenti per leggere la storia e comprendere quanto essa ci chiede”. Sono le parole relazione introduttiva dell’arcivescovo dii Benevento, Felice Accrocca, in occasione dell’inizio dell’Anno pastorale. Un momento importante nel corso del quale la guida della Chiesa beneventana ha voluto affrontare anche alcuni temi di attualità come il futuro del Sannio e del seminario del capoluogo.
“Mettersi dunque in ascolto della storia – prosegue Accrocca -. Proprio lo sguardo alla storia ha richiesto, nell’anno pastorale appena trascorso, un esame attento della situazione del seminario arcivescovile: il numero ridotto dei seminaristi ha posto infatti con sempre maggior forza seri interrogativi sulla qualità della relazione educativa, mentre la struttura, ormai smisurata per le persone che ha ospitato negli ultimi anni, ha finito per risultare inadatta a favorire tale relazione, richiedendo peraltro costi eccessivi per il suo mantenimento. Modi d’agire e di pensare che mutano con gran facilità (quanti operano in ambito educativo sanno quanto differenti siano gli studenti da un ciclo scolastico all’altro), un decremento demografico progressivo e una persistente migrazione dal Sud al Nord del Paese, per non dire all’estero, soprattutto delle fasce più giovani della popolazione, sono tutti elementi che hanno favorito il progressivo calo delle vocazioni, né – come attestano analisi qualificate – si prevede un cambiamento d’orizzonte, semmai un aggravarsi della situazione.
Nell’anno pastorale che si apre – spiega -, i seminaristi della nostra arcidiocesi presenti nel seminario maggiore (studenti nel corso filosofico-teologico) saranno quattro; altrettanti quelli nel seminario minore. Ciò che mi ha guidato, nel percorso per giungere infine a una decisione da prendere, certo non facile, è stata la determinazione di voler trovare la soluzione migliore per garantire una formazione adeguata ai giovani chiamati al sacerdozio, per il maggior bene loro e delle comunità nelle quali saranno domani inviati. In questa scelta ho cercato di non farmi condizionare né da ragioni di convenienza economica, né da mire tese a salvaguardare il prestigio passato, perché la storia cambia e noi dobbiamo accettarla per quel che è e non per quel che vorremmo essa fosse. Mi ha fatto riflettere, poi, la necessità di dover impiegare almeno tre figure educative (rettore, vicerettore, padre spirituale), tre sacerdoti per soli quattro seminaristi, ai quali sarebbe mancata peraltro la possibilità di un confronto autentico, con il rischio, per nulla ipotetico, che potessero finire per demotivarsi gli uni e gli altri; la presenza, in un ambiente formativo, di seminaristi di una sola diocesi incentiva inoltre un atteggiamento autoreferenziale, mentre è ormai sempre più necessario, a tutti i livelli, allargare i confini. Come dice Gustav Mahler, “fedeltà alla tradizione significa tenere vivo il fuoco, non adorare le ceneri” (cit. da F. Occhetta, “Destra”, “sinistra” e le nuove appartenenze della politica, in La Civiltà Cattolica, q. 4030, p. 375).
Per il futuro – sottolinea Accrocca -, ho quindi ritenuto opportuno mantenere a Benevento il seminario minore, con un sacerdote che sia di riferimento per i giovani; per coloro che frequentano invece il corso filosofico-teologico ho scelto un percorso più articolato: restano sempre a Benevento i due che sono già alla fine del percorso di studi (V e VI anno), mentre si trasferiscono presso il seminario di Posillipo gli altri due che debbono ancora iniziare il quadriennio teologico, in modo che possano continuare il cammino formativo insieme agli altri seminaristi delle diocesi della nostra metropolia e di altre diocesi ancora; per il futuro, ciò contribuirà anche ad agevolare il cammino metropolitano, in quanto si potrà contare su un clero che ha già stabilito, negli anni della formazione, relazioni di conoscenza e d’amicizia. L’anno propedeutico si svolgerà invece a Pozzuoli, dove i nostri giovani faranno un cammino di discernimento assieme ad altri di diocesi diverse afferenti allo stesso seminario: a questo proposito, ho anzi la gioia di potervi comunicare che quattro nuovi giovani della diocesi inizieranno quest’anno il loro percorso. In definitiva, si è finito così per ripristinare la situazione antecedente al 1977, quando a Benevento avevano sede due seminari: quello arcivescovile, gestito direttamente dall’arcidiocesi, con sede nell’antico edificio sul corso, dove si frequentavano le scuole medie e il ginnasio, aperto a ragazzi della nostra arcidiocesi, e quello regionale, che aveva sede su viale Atlantici (l’edificio poi divenuto scuola di formazione per l’Arma dei Carabinieri), dove invece si proseguivano gli studi del corso filosofico-teologico, non gestito dall’arcidiocesi, ma con superiori e professori inviati dalla Congregazione. Chiusosi il seminario regionale nel 1977, dopo l’esperienza quarantennale in diocesi, si torna ora in un seminario regionale per le motivazioni che sopra ho brevemente elencato.
Chiusa questa parentesi – scrive Accrocca -, che ritenevo necessaria, riprendo il filo del discorso. Come dissi anche al Papa, salutandolo al suo arrivo a Pietrelcina il 17 marzo scorso, la nostra terra soffre, a dispetto delle sue grandi potenzialità, che restano mortificate dalla grave debolezza delle infrastrutture: così i nostri giovani sono costretti a cercare lavoro altrove e nei nostri Comuni – come in tutte le aree interne del Paese – la popolazione diminuisce, mentre l’età media di coloro che restano s’innalza sempre più. Tutto ciò pone nuove urgenze alla vita pastorale. Anche da ciò ne consegue – dicevo a voi lo scorso anno – che non è più possibile, ormai, pensare unicamente su scala parrocchiale molte delle attività fino ad oggi vissute come tali. Nell’anno passato abbiamo fatto alcuni passi in avanti, che non possiamo certo misconoscere; le zone, in alcuni casi con più convinzione, in altri con più resistenze, hanno cercato di vivere esperienze in comune: i campi estivi per adolescenti, le feste con i bambini di Prima Comunione, la peregrinatio delle reliquie del santo, per fare alcuni esempi, oppure la Lectio divina tenuta in tre zone diverse nei tempi di Avvento, Quaresima e Pasqua, hanno permesso di capire che lavorare insieme si può, che è sicuramente vantaggioso e può essere anche bello, oltre che stimolante, perché si è di più, si hanno maggiori possibilità per un servizio più qualificato e per un confronto più arricchente. Ora dobbiamo proseguire nel cammino, consolidando e incentivando i risultati raggiunti, perché la meta è ancora lontana: in tal senso, vanno incrementate le esperienze estive per fanciulli, adolescenti o giovani, i momenti formativi per gli adulti e per i gruppi famiglia, i ritiri di preghiera nei momenti forti dell’Anno liturgico, tutte iniziative – dicevo già nel 2017 – che in ambito parrocchiale sono difficili da realizzare per carenza di numeri. In alcune zone si stanno intanto muovendo i primi passi anche per un catechismo impiantato su scala interparrocchiale, capace di arricchire la proposta formativa.
Come lo scorso anno, propongo dunque mete che mi sembra siano raggiungibili senza uno sforzo eccessivo – aggiunge -. In tal senso, va assolutamente incentivata la formazione degli operatori, che deve essere attivata nelle singole zone non in autonomia, ma in stretta collaborazione con il Centro diocesano. Il cammino per il rinnovamento dell’iniziazione cristiana sarà sostenuto da un sussidio diocesano, che tutti i catechisti dovranno avere: nel corso di quest’anno pastorale pubblicherò un decreto che fisserà l’età per i sacramenti dell’iniziazione cristiana; quello in corso sarà inoltre un anno di “mentalizzazione” per i catechisti, attraverso un lavoro fatto nelle singole zone: a questo proposito, si terranno due incontri in ogni zona, della durata di due ore ciascuno, gestiti dalla Commissione Diocesana per l’Iniziazione Cristiana. Se in passato ci siamo dati l’obiettivo di costituire il Consiglio Pastorale Zonale, ora si dovrà farlo funzionare per davvero, perché è questo lo strumento più idoneo per operare un discernimento pastorale adeguato, capace di tradurre in modo appropriato, anche in zone molto diverse tra loro, l’orientamento pastorale additato dal vescovo alla diocesi: ciò comporta, necessariamente, un ascolto attento dei laici, i quali non sono semplici esecutori della volontà dei sacerdoti, ma sono piuttosto ‘chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della Gerarchia’ (Lumen Gentium 33). Con ciò non si vuol dire che la Chiesa debba essere governata con criteri di maggioranza e minoranza, come nelle moderne democrazie occidentali, perché si verrebbe a lederne la natura di ierarchica communio. Siamo invece invitati a costruire, come dicevo nell’omelia tenuta il giorno del mio ingresso in diocesi, una Chiesa libera da personalismi, aperta al soffio dello Spirito, che sappia mettere al centro l’Amore di Dio, unita, perciò, nella “convivialità delle differenze” (Tonino Bello), nella quale vescovo, sacerdoti, diaconi, persone consacrate, laici siano disposti a crescere in rapporti paritari pur nel rispetto della differenza dei propri ruoli”.