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Religione

Airola, Coena Domini del vescovo Battaglia con i detenuti: “La vostra vita non è persa”

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“Come tu mi vuoi, io sarò. Dove tu mi vuoi, io andrò”. E’ iniziata su queste note e testo del canto d’ingresso, animato, così come l’intera celebrazione, dagli studenti del Liceo delle Scienze Umane “Fermi” di Montesarchio accompagnati dalla docente Concetta Bortone, che coordina diverse attività scolastiche con l’Ipm di Airola nell’ambito del progetto di Alternanza Scuola-Lavoro), la Messa in Coena Domini celebrata dal vescovo della Diocesi Domenico Battaglia e concelebrata dal cappellano (nonché parroco di San Giorgio Martire ad Airola) don Liberato Maglione, presso l’Istituto Penale Minorile di Airola, con il rito della lavanda dei piedi ai giovani detenuti.

Un canto che richiama l’attenzione alla vocazione rispetto ad una chiamata e alla scelta di dire il proprio sì a quella chiamata. E proprio sul valore, sul senso e sul significato di una scelta che il vescovo s’è soffermato nella sua riflessione, stimolando e incoraggiando i ragazzi a non rassegnarsi rispetto agli errori commessi, a non fermarsi agli sbagli compiuti che hanno aperto per loro le porte del carcere.

“Non fermatevi davanti all’errore compiuto – ha detto loro don Mimmo – ma andate avanti. La vostra vita, anche se adesso la vivete in questo luogo, non è né inutile, né sprecata. Voi non siete l’errore che avete commesso, né siete l’immagine che altri vorrebbero che voi foste. Avete tutta una vita davanti per riscattarvi. Nessuna storia è inutile, nessuna vita è persa. Si può sempre ricominciare. Ma solo se sceglierete di volerlo fare. Solo voi, voi e nessun altro, potete scegliere chi vorrete essere davvero. E’ una vostra scelta. Ricordate che ricominciare è sempre possibile!”.

Dopo la sempre commovente storia di Rita, una ragazza sieropositiva della Comunità del Centro Calabrese di Solidarietà che don Mimmo guidava, e l’immagine donata ai ragazzi del piatto rotto e della necessità di raccogliere quei cocci e non di gettarli, il gesto della lavanda dei piedi a 12 giovani, in rappresentanza di tutti quelli presenti.

Un segno consegnatoci da Gesù, la sera dell’ultima cena, che sta ad indicare il mettersi con gratuità al servizio di chi fa più fatica e di chi è in maggiore difficoltà, di chi dentro di sé vive stanchezze, sconforto e sfiducia.

Un gesto consegnatoci da Gesù per imitarne l’esempio. Un gesto d’amore senza precedenti. È infatti lo stesso Dio che si china sulla nostra, la mia storia, la tua vita per dirci “Ti amo”.

“Lavare i piedi – proseguiva il vescovo – significa dire all’altro “Tu per me sei importante”. Lavare i piedi vuol dire trovare il coraggio di lasciarsi amare per quello che si è”.

Un segno bagnato non solo dall’acqua versata, ma anche dalle lacrime dei presenti e dalle gocce delle note di “Nuvole Bianche” di Einaudi, suonate da una studentessa. Il tutto in una primavera che potremmo definire di bellezza, quella bellezza che sgorga dall’inquietudine e dalla consapevolezza che non si tratta solo di suggestione, ma di tremare per la vita degli altri, sapere che c’è qualcuno che scommette su di te, nonostante tutto. Sapere che la follia è un atto d’amore e l’amore rende folli. Sapere che c’è una necessità concreta, una richiesta di speranza e che la speranza va condivisa, e organizzata, al pari dei nostri dubbi e delle nostre certezze.

“Era la prima volta che entravo in un carcere – c’ha testimoniato una studentessa del terzo anno del “Fermi” – e mi sono molto emozionata sia nel vedere i volti di questi miei coetanei, sia è stato molto toccante il racconto di don Mimmo della storia di quella ragazza. La mia emozione nasceva dal fatto che, guardando alcuni di quei volti, mi sono resa conto che da quella disperazione, apparentemente senza via d’uscita, è veramente sempre possibile ripartire ed essere speranza, dando speranza”. Una speranza che può ricominciare proprio dal chinarsi per rimettere insieme i pezzi. Con amore.

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