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Voto, sfida sugli indecisi. Il solito ‘show’ della campagna elettorale e i temi ridotti all’osso

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Turarsi il naso o darsi un pizzico sulla pancia. La moltitudine di indecisi che potrebbe marcare la differenza non farà una scelta convinta. La campagna elettorale entra nel vivo dopo gli insulti e le reciproche stilettate. Qualcuno aveva (giustamente) evidenziato la mancanza di ulteriori argomenti. Dunque ora si (stra)parla di programmi.
Non sorprende il fatto che molti candidati sembrano anche credere fortemente in quello che snocciolano davanti a telecamere, taccuini e platee dove il più delle volte albergano sempre le stesse facce.
Un metodo abbastanza vetusto – ma che funziona sempre – per ostentare forza, dimostrando che gli incontri sono più che partecipati. Un giochino che mira a mettere soggezione all’elettore, spesso riverente nei riguardi di chi mostra i muscoli. Dietro i soliti volti staziona l’interesse diretto, preminente. Quello è il tifoso della prima ora, che muove un gruppo che fa riferimento a lui e che presenta come persone di sua fiducia. Sono i cosiddetti nuovi, dietro i quali, nella maggior parte dei casi, c’è invece la necessità spicciola.
In larghissima minoranza, in questi incontri elettorali ormai divenuti un festival dell’ipocrisia, quelli che fingono di credere ancora nei partiti: sono gli irriducibili, legati più al singolo che ad un’idea, militanti per devozione più che per convinzione, disposti anche a sposare sigle differenti a patto che i rispettivi Billy Graham della politica abbiano ruoli riconosciuti. Il buffet, i convenevoli, le pacche sulle palle, il far finta di ricordarsi anche degli sconosciuti fanno parte dello show.
L’incontro elettorale è come una manifestazione teatrale dove i ruoli s’invertono. Gli attori diventano paganti. Offrono solo in quella circostanza, poi passano all’incasso per i successivi cinque anni. Un investimento remunerativo. Gli spettatori sono ospiti quella sera, e pagano profumatamente per tutto il resto del quinquennio. Un suicidio assistito. A questa giostra non si può sottrarre nessuno, neppure il più puro ed inflessibile paladino della moralità. Che viene indotto a differenziarsi nel metodo, ma non nella sostanza. E pertanto indirizzato da precise strategie di reclutamento, sulla pizza di autofinanziamento, sul viaggio della speranza in camper, sullo spostamento in treno in classe economica e via discorrendo.
In questo modo sembrerà più vicino alla povera gente, all’elettore arrabbiato, che dopo aver accumulato delusioni e prese per i fondelli (alimentando lui stesso il sistema di cui oggi si vergogna) ha bisogno di una valvola di sfogo. Negli appuntamenti elettorali la parte più interessante però la recitano i programmi: se ti senti come uno che sta ascoltando il lato B di un vecchio vinile, allora sei fortunato. Altrimenti rischi di finire dallo strizzacervelli per alterata percezione del tempo.
Il livello di dibattito politico si dovrebbe misurare sui contenuti. Ma questi sono talmente ridotti all’osso che il cittadino elettore non può non essere in preda a confusione ed incertezza. C’è chi, pur di operare una scelta, si farà bastare quel poco, fosse solo per una questione di rispetto verso un dovere civico sancito dalla Costituzione. Ma ci sarà anche chi, interpretando il voto come l’esercizio di un diritto e non un obbligo, orgogliosamente esigente verso il futuro dei propri figli e nipoti, non riterrà adeguato il valore della proposta politica e deciderà, con incontestabile dignità, di disertare.