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Psichiatria al “Rummo” un anno dopo: i cambiamenti positivi secondo una cittadina

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“Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, ovvero reparto di Psichiatria… un anno dopo: ritornano la normalità e l’umanità nel trattamento dei pazienti”.

E’ in sintesi la dichiarazione di Manuela Scala, una cittadina molto attiva nella lotta per una mensa sana come la salvaguardia dei malati psichiatrici, con la quale ha voluto annunciare pubblicamente i cambiamenti verificatisi nel giro di un anno all’interno del reparto di psichiatria di Benevento.

Di seguito la nota integrale di Scala:

“Il malato di mente non è un’entità astratta, la malattia mentale può colpire tutti noi, può colpire i nostri cari, può aprire un baratro nelle nostre famiglie molto più difficile da gestire, a mio avviso, di qualsiasi altra malattia, per l’ignoranza sull’argomento, per i pregiudizi, per la paura, perché da un momento all’altro ci si trova di fronte una persona diversa, con la quale spesso non si riesce ad interagire.

Io ho vissuto per un periodo breve, ma lungo quanto un’eternità, tutto questo, e da persona “piccola e normale” quale sono, ho dovuto sbatterci il muso contro occhi che mentre ti chiedono aiuto vorrebbero dilaniarti, per sensibilizzarmi all’argomento.

Quasi un anno fa, ho portato mio padre in Psichiatria e da lì sono scappata, riportandolo con me, urlando il mio disprezzo per ciò che avevo trovato al di là di quella porta blindata aperta da un agente.

L’ho portato via giurando a me stessa che mai lo avrei riportato lì dentro, che mai nessun medico mi avrebbe convinto a “chiuderlo”, si, “chiuderlo”, perché non c’era termine più adatto allora che avessi potuto trovare, persone rinchiuse in un lager e private di ogni dignità di esseri umani. Ho denunciato, di questo vado fiera!

Ieri, a distanza di poco meno di un anno, ho varcato di nuovo quella porta. Mi tremavano le gambe, un fiume di emozioni bruttissime mi hanno paralizzato la testa e il cuore. I lamenti, mi rimbombavano nella mente i lamenti, i lamenti e i passi striscianti.

Busso, mi annuncio per l’attuale responsabile, Lorenzo Piombo, e mi apre un infermiere. Mi guardo attorno stranita, mentre mi invita a sedermi. Di guardie giurate non c’è traccia.

Alla parete campeggia un murales, tanti girasoli spiccano in un cielo terso. Da lontano sento ridere, pazienti che scherzano tra di loro e contano gli spiccioli per farsi prendere un cappuccino “con lo zucchero, mi raccomando, dolce!”

Mi giro verso quelle voci e li vedo, non sono narcotizzati, non sono catatonici, non si trascinano come anime nel purgatorio dantesco, sorridono, parlano come “persone normali”, già, perché è questo che sono, “persone normali” come me, come i miei figli, come noi, come tutti.
Vengo ricevuta da Piombo e mi sono sufficienti pochi istanti con lui per dare un volto a quei murales colorati che danno vita anche al corridoio lungo il quale si distribuiscono le stanze dei degenti, mi è sufficiente una stretta di mano perché quella valanga di emozioni negative che mi aveva travolto negli attimi precedenti al mio ingresso lì dentro, lasci il posto alla gioia che nasce dalla consapevolezza che, nelle mani giuste, per tutti c’è speranza di un futuro migliore.”

 

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