Opinioni
Cortei, Referendum e “Buona Scuola”. La lettera di uno studente: “Apologia del gregge”

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“Gregge”, “non sanno quello che fanno”, “massa inconsapevole” e “perditempo” sono le espressioni più in voga tra i semicolti benpensanti e pietisti in pantofole, che aleggiando nella loro nuvola di discutibile superiorità morale e culturale, implicitamente, provano a dare il colpo di grazia al già travagliato cammino delle lotte sociali e dei movimenti di massa studenteschi. Le analisi opportuniste dei dilettanti politologi dimostrano una mancanza di sentimento e simpatia umana nei confronti della classe studentesca e sono l’ennesimo contributo a una mentalità reazionaria che non fa altro che promuovere l’annichilimento all’interno delle scuole.
Purtroppo la partecipazione sempre più in discesa ai movimenti sociali, e, a parer mio, la mediocre avanguardia organizzativa che spesso si rende retroguardia della massa stessa, sono allo stesso tempo sintomi e cause della disillusione imperante degli studenti che decidono di rimanere indifferenti a un contesto che sembra poco stimolante per loro. Mi chiedo come faccia quella élite di pseudo intellettuali a pensare che se il fine ultimo di una protesta non venga raggiunto sia a discapito del coordinamento e del direttivo che (per fortuna e purtroppo) erano tra i pochi a crederci per davvero e che sia colpa della massa che si muove indefinita e senza consapevolezza. Me li immagino infastiditi dal chiasso del corteo, che anticipando la sveglia del mezzogiorno, passa sotto casa loro, per poi decidere di riscuotere le situazioni sociali promuovendosi a favore dell’ideale che fa partorire l’iniziativa, ma condannando coloro che da anni come pecore ignoranti scendono in piazza senza aver prima esaminato dalla prima all’ultima pagina l’intera riforma contro cui si lotta. E’ questa idea che ha provocato la mia reazione da apologeta del gregge, troppo semplice scagliare la pietra in un oceano di folla, dove chi è colpito non ha nome e identità. Chi attacca la massa lo fa in nome di una cultura che cultura non è. Bisogna smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico per riempire le menti di dati sconnessi che dovrebbero servire per rispondere a ogni possibile stimolo del mondo esterno. Tutto ciò crea solo esaltazione negli animi di superbi, che snocciolano volta per volta un numero o un fatto per creare una barriera di carta tra sé stessi e gli altri e poterli guardare dall’alto. La cultura, in questo ambito, non è il sapere più dell’altro un particolare dato storico o aver letto ogni ordinanza della legge 107.
E’ organizzazione, disciplina del proprio io inferiore, presa di possesso della propria personalità, conquista di coscienza superiore, comprensione del proprio valore storico e sociale, capire qual è la propria funzione nella vita e quali sono i propri diritti e il propri doveri, ma soprattutto qual è la propria identità comunitaria. Se infatti, nel riscontro vero e proprio che si ha sulla mentalità della massa studentesca queste analisi da me negate sono una malattia della pelle, le fazioni e le scissioni interne al movimento sono un cancro ai polmoni. Perché è qui il punto fondamentale tra chi analiticamente osserva la situazione e chi vuole darsi un tono da retore nella parte del giusto, la lotta a chi non ha volto né identità perché fa parte della massa ha come unica conseguenza favorire chi vuole contrastare lo spirito di iniziativa e di partecipazione.
Sempre più si nota che nell’ambito di un corteo o di una manifestazione ci sia una scissione tra chi si sente rappresentato da un gruppo autonomo o da un sindacato. In nome del proprio simbolo, della propria bandiera, si sposta l’asse dalla propria lotta di classe alla lotta contro chi concorre per lo stesso obbiettivo, ma con un volto diverso. Tutto ciò stravolge la base ideologica del movimento di massa dove seppur sono presenti egoismi, sono nobilitati dal fatto che nessuno (in questo caso nessuno studente) può appagare se stesso senza che siano appagati tutti gli individui della sua classe. Che sia allora arrivismo e voglia di protagonismo mascherata dalla coscienza sociale? Uno studente dovrebbe sentirsi parte di una comunità, non di una accozzaglia pseudo partitica e presenziare ad una manifestazione anche come atto che aiuta a consolidare la propria coscienza di classe.
Da analizzare necessariamente sono le strutture organizzative del corteo. Sull’accusa opportunista di chi si scaglia contro la mancata informazione della massa che partecipa alla manifestazione, è facile ricordare che la lotta di classe in qualsiasi ambito è la storia dell’umanità, esistendo quindi ancor prima dell’alfabetizzazione e dei mezzi comunicativi di grande portata. Questo perché la protesta nasce, in fin dei conti, in risposta ad un problema che si avverte sensibilmente e che ha un riscontro concreto. Ci si deve togliere il cappello tanto per l’operaio Fiat analfabeta del secondo decennio novecentesco, come lo si fa per il cittadino francese che protesta per il Loi Travail che con alta probabilità non ha sfogliato la legge, come per lo studente che protesta per la Buona Scuola, ma nessuno rimprovera il lavoratore che lotta con il proprio sindacato, perché farlo con lo studente
Entrando così nel merito dell’iniziativa del 7 Ottobre, mi chiedo come si possa essere così miopi da presentare una protesta studentesca che accorpi anche una campagna referendaria per il No. E’ qui allora che ci si deve scagliare contro quella dirigenza in minoranza, mai contro la massa che subisce la perdita di credibilità da chi gliela dovrebbe consegnare. Quando all’indomani dello sciopero Stefano Rodotà testimonia la difficoltà cognitiva nella lettura del testo dichiarando “Neppure gli studiosi più esperti sono riusciti a dare una lettura univoca del numero delle nuove procedure di approvazione delle leggi”, credo sia ora di fare un passo indietro sullo scegliere di far portare a un liceale uno striscione per il No. Sullo stesso filone della non credibilità si muovono coloro che accusano la fine degli scioperi dopo il periodo natalizio.
Vorrei riuscire a calarmi nei panni di chi accusa la maggioranza della comunità studentesca di intorpidirsi senza continuare la lotta, ma mi risulta difficile immedesimarmi in chi accusa qualcuno di non partecipare al nulla. Mi chiedo come si possa accusare, di nuovo, la massa di non partecipare ad un corteo che viene arbitrariamente rimandato all’anno successivo da coloro che dovrebbero rappresentare la loro avanguardia. Mi chiedo ancora come si faccia a dare la colpa allo studente medio dell’infiacchimento delle proprie speranze se ogni progetto intrapreso scompare progressivamente.
Ebbene, a questa famosa (se non famigerata) èlite, consiglio di dare alle proprie volontà una direzione e di porle al pubblico come “ciò che solo può essere” ed ergersi a paladini di questo motto, dare continuità a queste volontà con una azione concreta, altrimenti le si vedrà abbiosciarsi e dileguare, in modo del tutto legittimo, negli altri. Allo stesso modo si smentirà chi dice che la politica sociale studentesca non porta frutti ed ha ambizioni irreali. Come può percepire la minaccia chi è dell’altra parte della barricata se ci si attiene a una prassi di manifestazioni che suonano più come delle ricorrenze che come delle agitazioni?
Mi auguro quindi, oltre la scomparsa di analisi che assomigliano più ad un catalogo di clichè che a critiche, che la dirigenza dei movimenti sovversivi e di protesta ampli la propria visione. Ritengo sia fondamentale per il movimento studentesco (che storicamente nasce diramazione della classe proletaria) collocarsi orizzontalmente con le altre energie sociali extrascolastiche: percepire la subordinazione comune rispetto al solo avversario darebbe maggior sostanza alla lotta”. (Alberto Lamparelli)