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Pasquale Casciello, ricordo di un uomo che ha lasciato il segno

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Il “signore dei cani”. Anche chi non conosceva personalmente Pasquale Casciello aveva buon gioco nell’identificare quell’uomo anziano ma vitalissimo, sempre accompagnato da (almeno) un cane.

E’ senz’altro una nota distintiva della sua persona, che ho avuto la fortuna di conoscere diversi anni fa, ma non l’unica. Non ricordo con esattezza quando lo incontrai per la prima volta, ma non ho dubbi che di mezzo ci fosse qualche iniziativa a tutela delle sue adorate bestiole.

C’è una sola cosa che mi colpiva più del suo amore per i cani, ed è l’amore che si leggeva nei loro occhi per lui. Sono stato testimone di storie ai limiti del credibile. Una cagnolina trovata in condizioni disperate, ridotta pelle e ossa, completamente priva di pelo. “Leishmaniosi” fu la diagnosi irreversibile dei solerti funzionari della Asl. “Va abbattuta”, la drammatica sentenza.

Era la soluzione più logica per la burocrazia veterinaria. Pasquale non ci pensò su un attimo. Doveva salvare quella creatura apparentemente condannata a morte. Iniziò con il ricoverarla presso un casolare diroccato. Salire le scale di quel rudere prossimo alla demolizione era un rischio notevole, ma nulla avrebbe potuto distoglierlo dall’obiettivo che si era prefisso. In quei momenti lo muoveva un demone, una forza sovrannaturale e irrefrenabile. Giorni (e notti) di assistenza compirono il miracolo: la cagnona (rimesso il pelo e ristabilita la massa corporea si scoprì essere una maremmana) era tornata alla vita.

E’ solo una delle innumerevoli storie che si potrebbero raccontare. Ma Pasquale Casciello non era “soltanto” un impareggiabile amante dei quattrozampe e degli animali in genere. Piuttosto, nell’amore per quegli esseri puri manifestava la generosità del suo animo, l’eccezionale umanità che lo caratterizzava. E proprio negli animali trovava la risposta che spesso, purtroppo, non riceveva dagli uomini.

Era alla costante ricerca di un mondo migliore, più giusto. Un mondo nel quale non possa più accadere che un padre e un figlio vengano assurdamente trucidati in strada. Ogni qual volta Pasquale ricordava la barbara uccisione del papà e del fratello, per mano nazista, una lacrima gli rigava il volto. Una lacrima che neppure i settant’anni trascorsi erano riusciti ad asciugare.

Da quel drammatico momento ripartì con la rabbia di chi si è visto togliere il bene più prezioso, ma non aggiunse mai violenza a violenza. Rilevò l’attività paterna di panificatore in quel di Scafati, si dedicò allo studio, poi all’insegnamento, infine fu sindacalista per la Cgil e difese i diritti dei lavoratori del comparto agricolo. Fu tale attività che lo portò a San Giorgio del Sannio dove risiedeva ormai da decenni e dove tutti hanno imparato a conoscerlo per il tratto bonario, il sorriso sempre pronto e la mente in perenne attività.

Ecologista, animalista, militante di partito con il cuore immancabilmente a sinistra: nel Pci fino all’invasione dell’Ungheria, socialista lombardiano, poi nei Verdi e in Sel. Pugnace come pochi, finiva spesso per infiammarsi al calore delle sue battaglie, senza mai valicare il limite del rispetto personale. Nelle sue critiche era diretto, faceva nomi e cognomi rifuggendo istintivamente l’obliquità. Ciò gli procurò oppositori in numero certamente superiore a quello dei sostenitori.

Qualcuno, specie nelle alte sfere politiche e istituzionali, lo considerava un “rompiscatole” o, peggio, un “perditempo”. Un contestatore a prescindere o, come usa dire oggi, un “gufo”. E non a caso, forse, nel paese in cui viveva ormai da tempo, non una rappresentanza istituzionale ha inteso tributargli l’ultimo saluto.

Ma gli scontri con l’arrogante banalità del potere brillano come stelle sul petto di un uomo dalla schiena dritta e dal cuore grande. Pasquale Casciello ha testimoniato con la sua lunga e travagliata vita la possibilità di non cedere ai compromessi, alle pressioni, agli accomodamenti. Avrebbe potuto profittare dei ruoli rivestiti, degli incarichi prestigiosi che lo hanno portato a interloquire con i massimi rappresentanti del sindacato nazionale della tabacchicoltura, in un’epoca nella quale il comparto era quanto di più redditizio potesse esserci: non ci ha nemmeno mai pensato. Lavoratore tra i lavoratori, si è dedicato esclusivamente alla difesa dei loro diritti, specie di quelli più deboli. E se qualche forzatura ha compiuto, come mi ha talvolta confessato, è stata indirizzata alla salvaguardia dei piccoli produttori nei confronti della spietata macchina ispettiva che, specie nel primo dopoguerra, non faceva sconti a nessuno.

Chi ha conosciuto Pasquale sa che non si tratta delle solite frasi di circostanza, buone per chiunque abbia, ahilui, abbandonato questa terra. Non fossero vere, sarebbe il primo a non volerle ascoltare. Un giorno, quando la vecchiaia cominciava a dargli i primi morsi, mi disse: “Quando non ci sarò più avrete perso molto”. Rideva, quasi vergognandosi per l’inusuale empito di immodestia. Ma aveva terribilmente ragione. (Paolo Bocchino)

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