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Gravidanza, un semplice test potrà prevedere la data del parto: un ricercatore dell’Unisannio nell’equipe di studio

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Un semplice test sulle donne in gravidanza potrà prevedere la data del parto. Lo dice uno studio pubblicato sulla rivista British Journal of Obstetrics and Gynaecology da tre ricercatori italiani: Vincenzo Berghella della Thomas Jefferson University di Philadelphia (Usa), Gabriele Saccone dell’Università “Federico II” di Napoli e Biagio Simonetti dell’Università degli Studi del Sannio.
Al momento solo il 5% delle donne partoriscono alla data presunta. L’esame transvaginale con ultrasuoni (tvu), che misura la lunghezza della cervice uterina, può invece prevedere, con una precisione dell’85%, se il parto avverrà entro la settimana successiva.
La tecnica, utilizzata fino ad ora per prevedere la data di nascita dei figli delle gestanti che rischiano un parto prematuro, è risultata efficace anche nelle donne che raggiungono il termine naturale della gravidanza.
I ricercatori, infatti, dopo aver analizzato i risultati di cinque diversi studi, che hanno coinvolto 735 donne incinte, hanno scoperto che la tecnica funziona anche dopo lo scadere dei 9 mesi. L’analisi ha, infatti, dimostrato che se la lunghezza della cervice scende sotto il centimetro, la possibilità di partorire entro i successivi 7 giorni aumenta dell’85%. Al contrario, se al termine della gestazione il collo dell’utero risulta superiore ai 3 cm, le possibilità di partorire entro una settimana sono inferiori al 40%.
“In condizioni particolari – ha spiegato il prof. Simonetti dell’Università del Sannio – questo tipo di previsione risulta importante non solo per le future mamme ma anche per i medici che devono decidere se attendere la scadenza naturale, indurre il parto oppure praticare un taglio cesareo.
Lo studio nasce dal fruttuoso confronto tra scienziati di diverse strutture di ricerca italiane e straniere. In questa direzione, l’Università del Sannio sta investendo notevoli risorse per quanto riguarda le attività di internazionalizzazione consentendo una maggiore continuità nelle collaborazioni scientifiche e una conseguente positiva ricaduta sui risultati della ricerca”.