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CRONACA

Saverio Sparandeo contro il Tribunale: “Ce l’hanno con me per il mio cognome. Negato diritto alla salute”

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Una lettera per “sottolineare tutte le ingiustizie fatte nei miei confronti e nei confronti della mia famiglia, da parte di chi dovrebbe rappresentare la giustizia, solo perché mi chiamo Sparandeo, cognome del quale ne vado molto fiero e me ne vanto“. Inizia così la lettera del boss beneventano Saverio Sparandeo, recapitata alla nostra redazione tramite l’avvocato difensore Maria Cristina Caracciolo.

Una missiva redatta di suo pugno, dopo il diniego da parte del Tribunale collegiale di Benevento di recarsi nel capoluogo sannita per effettuare i colloqui psichiatrici stabiliti dal CIM (Centro di Igiene Mentale). L’uomo, 53 anni, ritenuto dalle numerose indagini della magistratura a capo dell’omonimo clan, è attualmente ai domiciliari in una comunità psichiatrica pugliese.

Nel testo inviato, Sparandeo parla di un accanimento nei suoi confronti e della sua famiglia dal marzo 2014, con arresti per associazione camorristica al 416 bis e l’impiego di numerose forze dell’ordine. Dopo oltre un anno di carcere, però, il Gip di Napoli – con sentenza del 19 febbraio 2015 – ha assolto tutti gli imputati dall’accusa di associazione camorristica condannandone solo cinque.

“Nell’ottobre 2014 – si legge nella lettera – mio figlio maggio Corrado, 28 anni e incensurato, viene arrestato e portato in 41bis per una presunta “tentata estorsione” e, dopo mesi di carcere duro e aver fatto ricorso, il Tribunale di Roma annulla definitivamente il 41 bis per mancanza di presupposti”. A gennaio 2015, poi, “mio figlio Corrado con una nuova ordinanza e mio figlio minore con mia nuora vengono arrestati. In seguito il Riesame di Napoli annulla per entrambi la custodia cautelare per inesistenza di prove di colpevolezza. Il 12 febbraio 2015 – prosegue nella ricostruzione dei fatti – vengo incriminato per un’ulteriore ingiustizia della quale vengo a conoscenza solo dopo l’interrogatorio avvenuto nel carcere di Benevento di cui non ho potuto difendermi.

Attualmente – spiega – mi trovo ricoverato presso una clinica in provincia di Bari dove mi viene negato il diritto alla salute, poiché mi sono state rigettate richieste per visite mediche generali, nonostante le mie numerose patologie fisiche, nonché colloqui presso il CIM di appartenenza, successive al 3 agosto.

Mi viene spontaneo a questo punto domandarmi – continua Sparandeo – il perché in tale data mi fu concessa la possibilità di recarmi con il treno, in maniera autonoma, presso il CIM di appartenenza e nelle date successive stabilite dallo stesso Csm, il quale richiedeva per me il bisogno di colloqui di supporto, e adesso mi vengano rigettate le richieste da parte dello stesso Tribunale.

Oltre alla salute, mi vedo negare il diritto agli affetti familiari, dato che il Tribunale di Benevento ancora una volta mi rigetta la possibilità di partecipare, solo per qualche ora, al matrimonio di mio figlio maggiore, che non vedo da oltre 18 mesi.

Facendo presente che se fossi ancora detenuto mi spetterebbe, come previsto dalla Legge, avere colloqui con il proprio figlio”.

“E’ giusto – conclude Saverio Sparandeo – che tutti sappiano come funziona la giustizia e che è semplice accusare una persona solo perché il suo cognome è Sparandeo: ripeto, sono onorato di portare questo cognome”.

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