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Denunciato per aver rivelato l’inquinamento del Pertusillo. Il ten. Di Bello: “Sanniti, fate bene a dire no al petrolio”

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Condannato per aver agito a difesa della salute pubblica. È la storia di Giuseppe di Bello, Tenente della Polizia provinciale di Potenza, accusato e condannato a due mesi e 20 giorni di reclusione per aver rivelato all’opinione pubblica nel gennaio del 2010 l’inquinamento del Lago del Pertusillo. Informato da alcuni pescatori e associazioni ambientaliste della Val D’Agri sul peggioramento della qualità delle acque dell’invaso lucano, il tenente Di Bello aveva avviato nel dicembre 2009 indagini private, attraverso anche analisi pagate di tasca propria, che hanno portato alla luce l’elevato tasso di inquinamento.

A raccontarci la sua storia in un’intervista concessa a Ntr24 è lo stesso Di Bello.“Abbiamo scoperto l’incidenza dell’attività estrattiva petrolifera sull’invaso, di estrema importanza per la salute pubblica dei cittadini lucani, ma anche pugliesi. Il 64% di quelle acque è ad uso potabile proprio per i pugliesi. Abbiamo scoperto che i dati sull’inquinamento non venivano resi pubblici. Abbiamo trovato idrocarburi, metalli pesanti e alluminio, in quantità tale da provocare artificialmente anche l’insorgenza del morbo di alzheimer. Abbiamo trovato alifatici clorurati cancerogeni, che come dice la stessa parola sono cancerogeni, piombo, il bario. Abbiamo trovato tutta una serie di elementi che non sono originati dallo sgretolamento delle rocce dentro l’invaso, non sono prodotti naturali, ma ci sono arrivati perchè c’è un’attività intensiva di estrazione petrolifera e tutto ciò che ne deriva, perchè per arrivare ad estrarre ci vogliono i fanghi e questi fanghi possono insinuarsi nelle falde acquifere.”

Fare luce sulla scottante realtà dell’inquinamento del Pertusillo, è costata molto cara al Tenente di Bello. Prima una denuncia da parte dell’assessore regionale all’Ambiente dell’epoca, poi la sospensione dal servizio e dalla paga, e il trasferito in un museo. Infine la condanna a 2 mesi e 20 giorni e la sospensione della qualifica di pubblica sicurezza. Ma il 23 gennaio è stato reintegrato dal Prefetto. “Tutto questo perchè? – si chiede di Bello – per aver fatto quello che dicono le leggi e la Costituzione, aver difeso la salute pubblica. Ma a qualcuno questo non è piaciuto. Le multinazionali del petrolio sono potentissime in questo”.

La questione delle ricerche petrolifere interessa da vicino anche il Sannio, coinvolto da due progetti di ricerca. “Anche i cittadini sanniti – aggiunge di Bello – fanno bene ad essere preoccupati per la loro salute e per la propria terra di fronte alla minaccia delle compagnie petrolifere che prendono di mira il territorio sannita. La Val d’Agri era una terra meravigliosa, dove contadini e produttori vedevano arrivare acquirenti anche dalle altre regioni del Paese i quali si rivolgevano alle piccole aziende”.

“Con l’arrivo del petrolio – prosegue di Bello – sta scomparendo questa tradizione e molte aziende agricole stanno chiudendo perchè la gente non vuole il prodotto contaminato. Le attività estrattive determinano dunque, non solo danni all’ambiente e alla salute dei cittadini, ma anche un impoverimento del territorio”.

Questi argomenti sono stati approfonditi nel corso dell’incontro “Inquinamento d’oro”, dedicato al problema del legame tra ambiente e malaffare, promosso dall’associazione culturale “Generoso Simeone”, al quale ha preso parte anche Nicola Abbiuso, presidente del comitato “Diritto alla salute” che ha raccontato “Lo scandalo Fenice”. In Basilicata non è solo il petrolio ad inquinare, ma anche l’inceneritore Fenice, nato 12 anni fa insieme allo stabilimento Fiat di San Nicola di Melfi. “All’inizio – racconta Abbiuso – l’inceneritore serviva per bruciare i rifiuti industriali prodotti dalla stessa Fiat. In realtà si tratta di un inceneritore che ha sempre inquinato, sin dall’inizio della sua attività, ma i dati sull’inquinamento sono rimasti occultati per oltre 10 anni. Fino a quando, grazie soprattutto all’intervento di Maurizio Bolognetti, esponente dei Radicali Lucani, che ha denunciato pubblicamente l’inquinamento, il problema non è venuto alla luce”.

“La Fenice così si è autodenunciata e sono partite le indagine sfociate in un processo oggi ancora in atto. Ma lo scandalo maggiore – commenta Abbiuso – è che l’inceneritore Fenice, nonostante abbia inquinato per tanti anni, continui ad operare e ad inquinare le falde acquifere. Dagli ultimi rilievi Arpab infatti risulta che le falde acquifere a novembre 2012 sono ancora inquinate”.

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