CULTURA
Un pensiero poetico per la città di Benevento

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Risalendo da piazza Matteotti lo sguardo abbraccia forse uno degli squarci più suggestivi della città di Benevento, non solo in questo 2011 che spira. Alle spalle lasciamo la zona Unesco (alle cui spalle c’è la zona invalicabile dell’inciviltà del sabato sera). Un fuggevole ma non distratto sguardo ai palazzi novecenteschi che fanno da sentinella in cima corso Garibaldi. Un po’ di nostalgia per l’irriverente incontinenza adolescenziale negli angoli della Prefettura (prima che intervenissero valicabili cinture in ferro). La Rocca, in rilievo, e poi la piazza della Vittoria col rigurgito fascistoide del monumento (ma in pochi ci badano), ampio tappeto d’ingresso ad uno dei più bei giardini della Campania (all’atto del concepimento, fine diciannovesimo secolo), la Villa Comunale. E poi la fuga alberata del viale degli Atlantici ancor più sullo sfondo. Occorre solo un po’ di ingenua fantasia, un’assenza di realtà: ovvero, niente automobili e pedoni e tavolini e vetrine e bancarelle, un vuoto che si riempie dello sguardo e con lo sguardo.
Qualche giorno fa ‘accarezzava’ l’area d’ingresso della Prefettura un autobus urbano. Con un suo carico di tradizione, però, che ha smorzato lo stridente accostamento: un’esposizione, piccola e onesta, di presepi, tra i quali quelli di un maestro artigiano come Salvati. Minuscole stanzette, lettini, brocche, piastrelle, mestieri, animali, mangiatoie, natività. Miniature parlanti. Un involontario (?) contrasto con la prospettiva dello scorcio conclusivo d’anno offerto dalla modernità del ferro, il Presozio (presepe-mamozio).
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(la chiave di lettura, secondo Bellavista, è l’uomo di Protagora, “misura di tutte le cose”)
Salvatore: “Professo’, quello ca io invece non ho capito per bene è come si comporteranno, come reagiranno i posteri di fronte a questi pittori moderni! Cioè mo’ mi spiego: tempo fa, un muratore amico mio, sotto le macerie di una villa a Torre del Greco, trovò un quadro di Luca Giordano. Non appena lui trovò questo quadro di Luca Giordano nella cantina dove stava lavorando, subito intuì, dicette: ‘Questo qua minimo deve essere un capolavoro o, a niente a niente, un’opera d’arte!’; allora che fece lui? Piglia e chiamò il direttore dei lavori, e l’impresa stessa, l’impresa in persona venne e gli diede, gli regalò in omaggio una bella mazzetta in moneta”.
Professor Bellavista: “… E che c’azzecca cu Fontana?”
Salvatore: “C’azzecca! Mo’ mi spiego come c’azzecca! Fra 1000 anni, un muratore del 3000, sotto alle macerie di una villa qualunque, piglia e trova un quadro di Wasserman …”
Professor Bellavista: “Wesselman, Tom Wesselman”
Salvatore: “Esattamente, Wasserman, chillo ca ha azzeccato ‘a stanza ‘e bagno ‘n faccia ‘o muro! Ora vengo a voi, e questa è la mia domanda, due punti: secondo voi, questo muratore del 3000 che cosa penserà di aver trovato? Un capolavoro? O ‘nu cesso scassato?”
(“Il mistero di bellavista”, 1984: di Luciano De Crescenzo)
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La risposta, amico mio, cercala nel vento.