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‘Rifugiati di San Lupo, non è dato sapere il futuro che li attende’

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Qualche giorno fa, sul sito dell’Associazione Nazionale Antirazzista Interetnica 3 Febbraio, è stato pubblicato un articolo, a firma di Alfred Breitman, scritto per everyonegroup.com, sul progetto di integrazione attuato nel Sannio, a San Lupo, piccolo centro della nostra provincia dove proprio ierisi è svolto il convegno di studio dal titolo “Piccoli comuni, grande solidarietà: tra utopia e sostenibilità”. Che, come denota anche il titolo, prospetta un tipo di realtà che stride con quanto si legge sotto.

***

“Cinque/sei anni anni fa i profughi di San Lupo sono fuggiti dall’Eritrea, dove erano perseguitati. Giunti in Libia, sono finiti nelle carceri – come altre centinaia di profughi subsahariani – sotto il regime di Gheddafi, quindi hanno effettuato la traversata verso l’Italia, hanno chiesto asilo, che è stato loro concesso dalla Commissione territoriale. Hanno trascorso mesi presso il Centro richiedenti asilo (Cara) di Salina Grande, a Trapani. ?
Successivamente sono rientrati nel progetto "Piccoli comuni, grande solidarietà" finanziato attraverso il Fondo sociale europeo. Purtroppo, nonostante gli ingenti investimenti (oltre 100 mila euro pro capite: denaro che avrebbe potuto servire ad acquistare una casa per tutti e a fondare un’impresa capace di dare lavoro agli adulti del gruppo) i rifugiati di San Lupo non hanno ricevuto nulla, se non qualche corso professionale inutile per assicurare loro un futuro e scarsi interventi di sostegno sociale. Li aspetta un futuro senza prospettive, al termine, imminente, dei due anni di "progetto". Il gruppo consta di 22 persone: 12 ragazzi, 6 donne e quattro bambini. Due bimbe sono poi nate all’ospedale di Benevento. I profughi sono  cristiani ortodossi (per la maggior parte) e musulmani.

Alcuni ragazzi hanno lasciato in Eritrea la famiglia e le fidanzate, a cui inviano quel poco denaro che riescono a risparmiare, effettuando lavori saltuari. Yohannes ha moglie e due figlie, giunte qui con lui dopo tre anni passati nelle terribili carceri libiche. Fiyori è madre della piccola Hiyab, nata a Benevento. Anche lei, cristiana ortodossa, moglie di un militare che ha disertato, è stata perseguitata dalla autorità del regime che le hanno incendiato casa. Ha lasciato due figli con la madre ed è fuggita il Libia. Mehari, 25 anni, ha lavorato nel governo eritreo, poi è fuggito in Libia, dove è finito in prigione, subendo violenze e abusi. Tadla e il marito Endalk sono ancora molto legati all’Eritrea, dove un giorno intendono tornare a vivere. Meron ha imparato un ottimo italiano ed è madre della piccola Elinora, nata a Benevento.

Hussen e Michael sono piuttosto ben integrati, ma vivono al di sotto della soglia della povertà e hanno nostalgia di casa. Fatima è somala, madre di Yousef. Ruta si dà da fare e ha già lavorato come parrucchiera a San Lupo. Tutti loro avrebbero diritto a un futuro sereno e l’Unione europea ha provveduto a stanziare fondi sufficienti a garantirlo. Ora è importante che le istituzioni italiane si pongano alcuni interrogativi: perché il progetto è fallito? Quale avvenire attende i profughi di San Lupo alla scadenza del biennio di "integrazione"? Come si può, adesso, riparare alla cattiva gestione delle risorse impiegate per il progetto "Piccoli comuni, grande solidarietà"?”.

 

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