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CRONACA

Il Giardino dell’Incontro, dove il disagio mentale diventa un sogno

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"Sono una piccola ape furibonda. Mi piace cambiare di colore. Mi piace cambiare di misura", era solita definirsi così Alda Merini. Dodici anni di manicomio, ricordati nei suoi numerosi versi. Sul Giardino dell’Incontro, dedicato alla poetessa “matta”, di api ne voleranno molte. Anche di farfalle. Colorate e leggiadre come i sogni dei ragazzi del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Benevento, che grazie ad un progetto seguito dalla cooperativa Social Lab76, che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, hanno riportato a nuova vita un giardino, pertinente alla struttura. L’inaugurazione ufficiale ci sarà nella mattinata di venerdì 21 Ottobre.

Nel giardino in effetti c’è di tutto. Un orto biologico che ha donato abbondanza di frutti questa estate. Un angolo con piante officinali, che serviranno per preparare tisane curative. Un orto dei frutti dimenticati, dove dimorano il sorbo, l’albero delle carrube, il giuggiolo ed il melograno.
Una zona meditazione. Un’area con tettoia e panchine, che presto, ci dicono, diventerà un punto di ristoro. Il tutto incastonato nel verde, colore della tranquillità per la cromoterapia. Il tutto frutto del lavoro dei ragazzi, seguiti da Maria Grazia Di Meo, presidente della cooperativa e curatrice del progetto, e dalla psicologa Ilenia Nicchiniello.

Siamo partiti dalla creazione del gruppo, facendo assimilare loro il concetto di lavoro, fatto di regole, diritti e tutto il resto. Poi abbiamo fatto dei percorsi di inclusione per far acquisire loro la consapevolezza di avere un ruolo sociale”, ci spiega Maria Grazia, soddisfatta di vedere come i ragazzi siano cambianti nel corso di questa esperienza, che di fatto è un vero e proprio lavoro. “I ragazzi sono contrattualizzati, hanno ferie, straordinario pagato. Certo la sfida sarà anche uscire da questo ambiente, che in qualche modo li tutela, ed entrare nel mondo del lavoro profit”. Intanto qualcuno ce l’ha fatta ad uscire di casa, dal nido sicuro dei genitori e affrontare il mondo.

Sette persone in cura presso il Dipartimento di salute mentale sono state coinvolte nel progetto. Qualcuno ha vinto anche la sfida dell’ospedale psichiatrico giudiziario. Ora grazie a questo progetto, hanno una vita normale. Hanno acquisito conoscenze tecniche, sanno come si cura un giardino, conoscono le piante e le cure di cui hanno bisogno. Lavorano, guadagnano e alcuni sono diventati anche soci della cooperativa. In mondo esterno aspetta loro.

Una volta arido, pieno di sassi, abbandonato a se stesso. Oggi il Giardino dell’Incontro è un tripudio di colori, di profumi e di serenità. Di vita. Come quella di cui i ragazzi stanno tentanto con tutte le forze di riappropriarsi. Così da rendere la malattia mentale un ricordo, un periodo dell’esistenza chiuso tra due parentesi.
Ricordo”, continua Maria Grazia, "lo sguardo spento che alcuni di loro avevano all’inizio del progetto. Uno sguardo piano piano ha riacquistato luce, forse parallelamente al fiorire del giardino.

Un traguardo raggiunto con fatica e determinazione. Se all’inizio capitava di addormentarsi nella quiete dei prati, ora sono solerti lavoratori, fieri e felici del loro nuovo ruolo nella società.
Sono cresciuta, mi sento bene, e soprattutto voluta bene”, “un’esperienza che spero di continuare, sono contento”, i commenti dei ragazzi che hanno contribuito a rendere un sogno quel giardino, che una volta era un angolo abbandonato e dimenticato da tutti. “Sento un po’ mio questo giardino. Mi sento parte di qualcosa”, ci confida Mario, con uno sguardo in cui traspare tutta la fierezza per essere riuscito in quella che all’inizio sembrava un’impresa tanto difficile.

Il futuro oggi fa meno paura. Ma soprattutto un futuro ora si si può sognare.
Se guardo al mio futuro, riesco ad intravedere una sorta di indipendenza. Un futuro migliore per me e per tutti”, il pensiero di Giovanni. Ma le sue parole esprimono lo stato d’animo un po’ di tutti i ragazzi.

“Quando ero in manicomio, e vedevo l’erba dalla parte delle radici, ero convinta (e ancora lo sono) che il grande arazzo della volontà divina lo vedano gli angeli, mentre noi, incamminati verso l’indolenza o il sacrificio estremo, non comprendiamo nulla.” (Alda Merini)

Erika Farese

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