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CULTURA

Benevento, la Città e lo spettacolo

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Sembra davvero voler prendere il via con passo nuovo, quasi più leggero, la trentaduesima edizione di ‘Benevento Città Spettacolo’.

E’ solo apparenza.
Intanto, le è stata tolta giusto da qualche giorno la sordina, sistemate – non senza qualche polemica – le vicende relative all’ufficio stampa (e promozione ed immagine dell’evento). La macchina allora, forte anche del nuovo sito, ha cominciato a far girare il suo motore al ritmo dovuto. Sfornando quella messe di informazioni che rappresenta la base su cui i ‘media’ costruiscono per i loro consumatori. Ma non allontanando affatto il dubbio che la palingenesi in favore dei talenti locali dietro il desk non sia altro che un tentativo di puntare alla ‘normalizzazione’ nei rapporti fra ente e stampa. Giova ripetersi: ospitare nella crew (allargata) elementi che collaborano – in via diretta e no – con testate giornalistiche locali riflette un ovvio e tangibile conflitto d’interessi. Formula nella quale è possibile comprendere anche altre presenze per affinità di vario tipo (culturali, politiche, familiari e così via).

Ed a proposito, ancora, di apparenza.
La risistemazione a tappe forzate – e in questo caso incredibilmente rispettate – di alcune aree cittadine come via Traiano o piazza Santa Sofia, proprio in vista del tappeto rosso su cui sfileranno i protagonisti di Benevento Città Spettacolo suona:

1) come un’incredibile smentita alla fola delle lungaggini burocratiche e delle lavorazioni infinite, vista la celerità d’approvazione ed esecuzione;

2) come un’incredibile offesa al buon senso del cittadino comune che per gli altri undici mesi e venti giorni deve sudare proverbiali camicie di pazienza e soffocare i bassi istinti di rivolta al senso civico per veder rattoppato un buco che sia uno, che magari impedisca la rottura di un cerchione o la rovinosa caduta di un anziano.

Soluzione a scelta, ovviamente. Ma rileviamo che dopo 32 anni il vizio del provincialismo (leggasi: il lifting per l’appuntamento importante) ancora non ci abbandona. Il decreto 138 forse sottintendeva anche quest’abolizione, ma – (im)potenza governativa – è rimasto tutto n vita.

Il Festival, dopo sei lustri ed oltre, è entrato nel patrimonio cittadino.
Non in quello economico, perché non riesce a costituire ancora un elemento d’attrazione per investimenti privati (quest’anno la quota si è dimezzata ed ha dovuto sopperire il comune cittadino) e deve la sua vita, in senso non solo letterale, ai finanziamenti pubblici: nel caso, tre quarti della spesa sono a carico della regione Campania. E naturalmente nessuno si augura scenari apocalittici legati ai tagli del Governo nei confronti degli enti territoriali. Perché le ‘manovre’ quando partono dall’alto non si fermano lì, ma costringono ad altre ‘manovre’ ad ogni livello: da tagli e minori trasferimenti nascono tagli e minori trasferimenti, a catena. In ogni settore dove è possibile risparmiare senza troppi spargimenti di sangue (in chiave elettorale).

E’, non nascondiamocelo però, entrato nel patrimonio immateriale locale. Forse non ha compiutamente realizzato le intuizioni ed i desideri di partenza, ma ha costituito un punto di riferimento culturale, con alti e bassi, nel panorama nazionale, senza toccare quell’assoluta eccellenza che vogliono farci credere, almeno in loco. Un riferimento, quest’ultimo, alla diffusa percezione che la macchina festivaliera sia stata da sempre – e con ogni tipo di amministrazione – concepita come un orto personale da arare perché fosse anche macchina di consenso e di controllo nella gestione della vita ‘culturale’ intesa nella più ampia accezione. Un atteggiamento spocchioso, prima ancora che disturbante.

Lo sforzo artistico di quest’anno sarà naturalmente il pubblico, prima ancora che la critica, a valutarlo. Certo il programma è in grado di farsi apprezzare, sulla carta, per la sua indiscussa varietà nell’offerta. Che vuol dire particolare attenzione a più fasce d’utenza nel rispetto, quanto ad intenzioni, di un target qualitativo alto della proposta. Non ne può giungere che un beneficio all’intelletto, ovviamente.

Chiudiamo con un pensiero al ‘caro estinto’ dell’estate, il patrimonio Unesco. Come un plantigrado risvegliatosi dal letargo (stavolta a stagioni ribaltate, però) cui lo ha costretto evidentemente l’incubazione della Città Spettacolo, ora – mantra salvifico de comunicati stampa – torna a circolare fra le masse di visitatori che hanno evitato Benevento con il caldo proprio perché sapevano del ‘nulla’. E che sono, a quanto pare, pronte invece a riversarsi adesso nella città-patrimonio, col fresco incipiente. Fresco che dovrà servire pure a schiarire qualche idea…

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