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CULTURA

Quando una partita di calcio è Storia: Juve – Napoli 1-3

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Anche questa settimana ci tocca, piacevolmente, il teatro. L’occasione è fornita dalla rassagan della Solot Obiettivo T, che focalizza la sua attenzione, giovedì 3 febbraio, alle ore 20.30 al Mulino Pacifico, su… una partita d calcio. Non come tutte le altre, però.
Teatro delle Forme, infatti, presenta: “JUVE NAPOLI 1 – 3, La presa di Torino”, dal testo di Maurizio De Giovanni (creatore dell’amico commissario Ricciardi), drammatizzato e diretto da Antonio Damasco, con Alberto e Antonio Damasco (aiuto regista: Valentina Padovan; montatote video: Raffaele Posa; responsabile tecnico: Bruno Miguel Ferreira da Veiga).

“E’ un racconto, per immagini intime e collettive, di quando una partita di calcio poteva rappresentare la rivincita di una intera classe sociale. – scrive il regista – Un luogo dove era consentito a due uomini, uno piccolo ed uno grande, incapaci di dirsi “ti voglio bene”, di abbracciarsi e ridere insieme.  Lo stadio è teatro di uno spazio altro, dove i ruoli, le convenzioni e le maschere del quotidiano possono essere gettate, per lasciare posto a quegli incontri che nella vita reale difficilmente si realizzerebbero.
Juve-Napoli è un viaggio vero e metaforico, la storia di un’Italia, non troppo passata, fatta di migrazioni, di lingue nascoste, mansarde affollate e nuove identità.
Il 9 Novembre del 1986, il Napoli "saliva" a Torino ed affrontava per l’ennesima volta i ricchi, gli imbattuti, i bellissimi Tacconi, Manfredonia, Cabrini, Serena e Laudrup, schierando in campo Garella, De Napoli, Bagni, Bruscolotti, Sola e LUI… ed almeno per una volta, come in una favola al contrario, non vinsero quelli alti, con gli occhi azzurri ed i capelli biondi”.

Partendo dal vivacissimo testo omonimo di Maurizio De Giovanni, scrittore napoletano, Antonio Damasco dedica un riscatto comico-poetico ad un padre emigrato da Napoli alla FIAT, per rispondere con una risata, a distanza di 40 anni, a quei cartelli che riportavano la scritta “non si affitta ai meridionali” che offesero i suoi occhi.
“Mi parli poco dei tuoi 20 anni, di quando vivevi già a Torino in Via della Rocca, lontano quasi 1000 km dalla tua famiglia. Ho visto anche la foto in bianco e nero di allora, quella dove il colore ce lo metteva dopo il fotografo, mi piaceva immaginare un Dean Martin napoletano che camminava sotto i portici della sua nuova Città. Adesso anche la tua lingua è cambiata, parli un napoletano piemontesizzato, che comincia con “uè” e finisce con “né”. Allora è vero che chi va via dalla sua terra non appartiene a nulla più, troppo torinese per i napoletani, e “napuli” per i piemontesi”.

 

 

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