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Emergenza cinghiali nel Matese, l’associazione O.R.M.E. attacca il “summit” di Morcone: “Più si spara, più aumentano”
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Giuseppe Fappiano, dell’Associazione O.R.M.E., interviene sull’emergenza cinghiali nel Matese: “Leggendo l’articolo del 19 dicembre sull’emergenza cinghiali nel Matese, si rimane allibiti. Non per la gravità del problema, che è sotto gli occhi di tutti, ma per la sfacciataggine con cui si spaccia come “soluzione tecnica” l’ennesimo favore alla lobby delle doppiette, ignorando totalmente quello che la scienza oramai propone da anni”
In quell’incontro “tecnico-operativo” a Morcone — al quale, guarda caso, le associazioni animaliste, naturaliste ed ambientaliste non sono state invitate — si sono seduti al tavolo solo carabinieri, cacciatori e burocrati. È uno schiaffo alla democrazia e alla tutela della biodiversità escludere a priori chi avrebbe portato argomentazioni diverse e meno cruente, lasciando che la gestione del territorio resti in mano agli stessi soggetti che, dati alla mano, il problema lo hanno alimentato per decenni.
Studi sull’alterazione antropogenica della specie, con dati statistici dell’ISPRA, smentiscono categoricamente la narrazione ufficiale: la caccia è il miglior fertilizzante per la proliferazione dei cinghiali. Quando si spara in un branco, si distrugge la gerarchia sociale guidata dalle femmine anziane. Senza la loro guida, le femmine giovani raggiungono la maturità sessuale precocemente e il tasso di riproduzione schizza alle stelle. Lo diciamo chiaramente: più si spara, più i cinghiali aumentano. Chiamare i cacciatoti “bioregolatori” è un insulto all’intelligenza umana, alla logica e alla biologia. È come voler spegnere un incendio buttandoci sopra della benzina e chiamare i piromani “esperti di antincendio”.
Ma la ciliegina sulla torta è la costituzione della “filiera della carne di cinghiale”
È un conflitto di interessi stomachevole. Trasformare un’emergenza in un business significa condannare il territorio a non risolvere mai il problema. Se il cinghiale diventa carne da vendere e profitto da spartire. Cchi avrà mai l’interesse a far sparire i branchi? Si sta creando un sistema dove il “problema” deve restare vivo per far prosperare il portafoglio dei cacciatorielevati, dal Comitato di gestione del parco Nazionale del Matese, ad unici capaci di risolvere un problema che loro stessi provocanoed alimentano.
Eppure la soluzione esiste, è pulita, professionale, definitivaincruenta e rispettosa della vita degli animali in quanto esseri “senzienti” tutelati dalla Legge n. 82/2025.
Si tratta di una pratica che per i milioni di italiani che possiedono cani e gatti rappresenta una normale e responsabile praticata da millenni nel Sannio: la sterilizzazione chimica per le femmine e la castrazione dei maschi !
Invece di disseminare il Parco di piombo e stressare gli animali spingendoli fin dentro i cortili delle case, perché non parliamo di sterilizzazione? È una possibilità nemmeno paventata nel “summit”, eppure è la pratica più semplice e incruenta, che rispetta la vita degli.
In Italia abbiamo già figure professionali specializzate, gli Operatori della Sterilizzazione (O.ST.), tecnici formati che potrebbero intervenire con la castrazione dei maschi e la sterilizzazione chimica delle femmine catturati con le gabbie. È una pratica professionale, non invasiva, eseguita da personale sanitario esperto in suidi e non da dilettanti del grilletto.
È l’unico modo per risolvere il problema alla base, senza innescare quelle risposte biologiche che portano all’esplosione demografica. Basta con la politica che ignora la scienza per accontentare le lobby della caccia.
Il Parco Nazionale del Matese è un bene collettivo, non una riserva di caccia privata mascherata da operazione di sicurezza. Se vogliamo davvero risolvere il problema, dobbiamo smetterla di usare il fucile e iniziare a usare la testa”, conclude Fappiano.




