ECONOMIA
Rapporto Svimez 2025: il Sud cresce più del Centro-Nord, ma resta l’emergenza salari e capitale umano
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Il Mezzogiorno cresce più del resto del Paese. È quanto emerge dal rapporto Svimez 2025 presentato oggi, secondo cui tra il 2021 e il 2024 il Pil meridionale è aumentato dell’8,5%, contro il +5,8% del Centro-Nord. Un divario che segna una discontinuità rispetto ai precedenti cicli economici e che nasce da una combinazione di fattori favorevoli: la minore esposizione dell’industria del Sud agli shock globali, il ciclo edilizio particolarmente espansivo sostenuto prima dagli incentivi e poi dal Pnrr, la chiusura della programmazione europea 2014-2020 e la forte ripresa del turismo e dei servizi.
Tra i settori, sono proprio le costruzioni a trainare la crescita: +32% nel Mezzogiorno contro il +24% registrato nel Centro-Nord. Ma il contributo decisivo arriva dal terziario, che cresce del 7,8% nel Sud (7,3% nel Centro-Nord) e beneficia dell’espansione delle attività finanziarie, immobiliari, professionali e scientifiche attivate dalla nuova progettualità pubblica e privata legata al Pnrr.
Significativo anche l’andamento dell’industria: mentre nel Centro-Nord il valore aggiunto cala del 2,8%, nel Mezzogiorno aumenta del 5,7%. È la manifattura a fare la differenza, con un +13,6% trainato dalla domanda dell’edilizia e dalla buona performance dell’agroalimentare (+13,1%). Al contrario, il modello export-led del Nord mostra crepe legate al caro energia, alla debolezza della domanda tedesca e alle difficoltà dei settori energivori e della subfornitura.
Il Pnrr continua a svolgere un ruolo determinante. Tra 2023 e 2024 il suo effetto espansivo è stimato in circa 0,9 punti di Pil per il Centro-Nord e 1,1 per il Mezzogiorno, contribuendo a evitare la stagnazione dell’economia italiana. Le previsioni mostrano però un rallentamento nei prossimi anni: l’Italia crescerà dello 0,5% nel 2025, dello 0,7% nel 2026 e dello 0,8% nel 2027. Il Sud dovrebbe continuare a fare meglio nel biennio 2025-2026 (+0,7% e +0,9% contro +0,5% e +0,6%), grazie al completamento dei cantieri Pnrr. Nel 2027, però, con il rallentamento degli investimenti pubblici e la ripresa dell’export, il Centro-Nord tornerà a crescere più del Mezzogiorno (+0,9% a +0,6%).
Resta invece critica la questione del capitale umano. L’Italia rimane in coda in Europa per quota di giovani laureati (30,6% contro il 43% della media Ue). Gli atenei meridionali attirano più iscritti e diminuisce la migrazione degli studenti prima della laurea, ma il quadro cambia radicalmente dopo il titolo: ogni anno oltre 40mila giovani del Sud si trasferiscono al Centro-Nord e 37mila laureati italiani emigrano all’estero. Il Mezzogiorno, denuncia Svimez, dal 2000 al 2024 ha perso 132 miliardi di euro in capitale umano formato ma non trattenuto, mentre il Centro-Nord registra un saldo positivo di 80 miliardi.
Il lavoro giovanile segue dinamiche simili. Nel Mezzogiorno, tra 2021 e 2024, sei nuovi occupati under 35 su dieci sono laureati. Tuttavia, la prima porta d’ingresso al lavoro rimane il turismo: un terzo dei giovani lavora in ristorazione e accoglienza, settori a bassa qualificazione e bassa retribuzione. Cresce la presenza nei servizi Ict e nella pubblica amministrazione, grazie al Pnrr, ma la domanda di competenze avanzate resta insufficiente.
E mentre il Pil corre, i salari arretrano. Dal 2021 al 2025 i salari reali perdono il 10,2% nel Mezzogiorno e l’8,2% nel Centro-Nord, complice un’inflazione più alta e una maggiore stagnazione delle retribuzioni. Si allarga anche il fenomeno dell’in-work poverty: nel 2024 riguarda il 19,4% dei lavoratori meridionali, tre volte il valore del Centro-Nord (6,9%). In Italia i lavoratori poveri sono 2,4 milioni, metà dei quali nel Sud. Crescono le famiglie in povertà assoluta, trainate anche da nuclei in cui la persona di riferimento è occupata, segno di una relazione sempre più debole tra lavoro e benessere.
Secondo Svimez, per trattenere i giovani e rafforzare la crescita, il Mezzogiorno deve attivare filiere produttive ad alta intensità di conoscenza, potenziare la base industriale innovativa e integrare formazione, ricerca e politiche industriali. Senza un aumento della domanda di competenze qualificate, avverte l’associazione, il rischio è che la mobilità giovanile resti una scelta obbligata e che il divario territoriale continui a riprodursi.




