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Cittadini

Contro lo spopolamento, contro l’indifferenza: Mauro, da Benevento, voce di una generazione che lotta e non si rassegna

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A volte, per raccontare una città non servono statistiche, istantanee o proclami. Basta sedersi con un ragazzo davanti a un caffè e ascoltare. Ascoltare davvero. Mauro Gilardi ha trent’anni, studia criminologia, lavora part-time in ospedale per pagarsi gli studi, ma soprattutto: non si è arreso. Non si è arreso all’apatia, al disincanto, alla fuga dei suoi coetanei verso altri lidi. È rimasto. Lotta e sogna – testardamente – un futuro possibile qui, nel cuore delle aree interne. Lo fa senza megafoni, senza incarichi pubblici, ma con quella determinazione pacata e incrollabile che nasce da un’urgenza profonda: non rassegnarsi.

Il suo volto ha fatto il giro dei social durante le recenti manifestazioni pacifiche pro-Pal. Una foto condivisa da Pablo Trincia, diventata in breve il simbolo di un impegno disinteressato, puro, che rivendica il diritto di indignarsi ancora.

«Per me indignarsi non è solo giusto, è necessario», racconta Mauro. «Io non ho scoperto la Palestina adesso. Avevo 15 anni quando iniziai a informarmi, grazie a mio zio. Ricordo ancora Vittorio Arrigoni, il reporter italiano ucciso a Gaza nel 2011. Da allora ho sempre sentito che il silenzio davanti all’ingiustizia è complicità».

Ma oggi, prosegue, è diverso. È tutto sotto gli occhi di tutti: video, testimonianze, dati, appelli. Eppure, chi si espone, viene spesso accusato di “fare politica”. «Se l’umanità è diventata propaganda, allora io faccio propaganda. Ma non riesco a mettere sullo stesso piano un genocidio e una buca nell’asfalto. Anche se partecipo anche alle manifestazioni locali, per il lavoro, contro la mafia, per la pace: tutto è collegato. O l’umanità è intera, o non è».

Eppure Mauro sa bene che molti ragazzi intorno a lui hanno smesso di credere, hanno smesso di lottare. «C’è tanta rassegnazione tra i giovani. È come se avessimo interiorizzato che le cose andranno sempre così. Ma come diceva Giovanni Falcone: ‘Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e cominciare a cambiare, c’è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che agire’. Io voglio continuare ad agire».

Anche per questo, continua, il suo rapporto con Benevento è complicato, ma mai tiepido. «Amo questa città. Ma fa male vedere che ogni anno perdiamo centinaia di persone, soprattutto giovani. I dati demografici fanno paura. E con meno giovani, peggiorano i servizi, la sanità, i trasporti. È un ciclo che va interrotto».

Niente sogni irrealizzabili: Mauro ha idee chiare e concrete. Incentivi per restare, una vera banda larga per superare il digital divide, agevolazioni per studenti, investimenti nella cultura e nel turismo sostenibile. «Ci sono borghi che hanno puntato sull’integrazione, sulla rigenerazione rurale, sulle comunità energetiche. Si può fare anche qui».

E poi, spiega, serve ascolto vero. «Basterebbe chiedere ai giovani: avete tratto beneficio da quei programmi tanto pubblicizzati? Perché a volte sembra che si faccia marketing dei problemi, non politica delle soluzioni».

Mauro è anche allievo del maestro Mario Ferrante. Nell’arte ha trovato un rifugio e una forma di espressione che racconta la bellezza nascosta della città. «Pensavo che Benevento fosse indifferente all’arte. Invece ho scoperto che la cerca. Quando organizziamo mostre, la partecipazione è alta, sentita. È come se l’arte riaccendesse qualcosa che credevamo spento».

Quando gli chiedo come immagina la sua città tra dieci anni, Mauro si ferma un attimo, poi risponde con una metafora delicata: «Benevento è come un mare. Bellissima, ma se non la custodisci, se non la rispetti, può diventare pericolosa. Ha una potenzialità unica. Ma servono visione, coerenza, e soprattutto rispetto per i cittadini».

Le sfide non mancano: spopolamento, disuguaglianze, criminalità. «Quando una città si svuota, è terreno fertile anche per la delinquenza. Dobbiamo reagire. E vedo che tante piccole realtà ci stanno provando, anche senza grandi risorse. Se ci riescono loro, perché non può farlo chi ha il potere di governare?»

Alla fine, c’è una frase che Mauro pronuncia con fermezza, quasi fosse un promemoria per tutti noi: «L’indignazione non è debolezza. È forza. È l’unico modo per restare umani in un mondo che cerca in tutti i modi di farci dimenticare cosa vuol dire esserlo».

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