ECONOMIA
“C’era una volta”, il gelato artigianale di Adele che racconta una favola vera a Benevento

Ascolta la lettura dell'articolo
“C’era una volta”. Ma c’è ancora. Ed è più viva che mai. Non è solo il nome di una gelateria: è il titolo di una favola vera, scritta con passione, sacrifici, notti insonni e ingredienti genuini. Una storia che sa di latte fresco, limoni di Sicilia, cioccolato del Venezuela e rosmarino del contadino. La protagonista? Adele Iuliano, beneventana con una laurea in economia, visionaria, artigiana del gusto.
A raccontarla, Adele lo fa come si raccontano le cose vere: senza filtri, con un’emozione che trabocca da ogni parola. La sua voce si spezza solo quando parla di Annamaria, la socia-amica con la quale tutto è cominciato e che oggi non è più parte attiva della società, ma che lei continua a nominare al plurale. “Io non faccio un passo senza sentire il suo parere”, dice. Una sorellanza imprenditoriale che ha dato vita a un piccolo miracolo nel cuore del Sannio.
Laureate con il massimo dei voti in Economia Aziendale all’Università di Napoli, Adele e Annamaria avevano un futuro già tracciato: il dottorato in Statistica. La svolta però arriva a Torino, in occasione di un viaggio estivo per un concorso, con il caldo afoso e una decisione presa d’istinto. “Scartammo la gelateria blasonata, quella che sembrava una gioielleria. Mi beccai anche un ‘tirchia’ dalla mia amica, ma alla fine la convinsi ad entrare in un’attività piccolissima, in un vicolo. Non era certo la più scenografica, anzi. Ma da lì vedevo uscire tantissime persone felici, tutte col sorriso.”
Adele si mette in fila. Un’ora e mezza sotto il sole. Si guarda intorno, inizia a curiosare. E lì scatta qualcosa. “Quel gelato alla pesca e yogurt era un’esplosione di verità. Prima nemmeno mi piaceva il gelato, lo associavo ai confezionati. Ma quel giorno è cambiato tutto.” Non era solo gusto: era un’idea di autenticità. Una vocazione improvvisa.
Tornate a casa, la scelta è fatta: niente dottorato, niente concorso. “C’eravamo dette: o lo facciamo bene o non lo facciamo per niente.” Ma il percorso non è facile. Il progetto viene bocciato dai fondi statali con la motivazione che “due laureate al Sud con 110 e lode devono per forza essere dei prestanome”. Un insulto più che una valutazione. “Ce l’hanno detto in faccia. Ma io non ho paura a dirlo, scrivilo pure.”
Eppure una persona – sconosciuta ma illuminata – vede il loro potenziale. Dopo aver verificato la serietà del progetto e la formazione fatta a Pisa nella rinomata gelateria De’ Coltelli, arriva finalmente il finanziamento. È l’inizio.
Nel 2012 apre “C’era una volta” in via Porta Rufina, a pochi metri dalle Poste Centrali. In pochi mesi entra tra le 100 migliori gelaterie d’Italia. Poi i premi, i riconoscimenti, il Gambero Rosso. Ma Adele non dimentica la sua missione: “Non voglio solo fare un buon gelato. Voglio spiegare cosa fa bene, cosa fa male. Nessuno lo dice con chiarezza. I blog sono pieni di cappelli da chef, ma nessuno parla davvero al cliente”.
Quando le chiedi cos’è per lei il gelato, non esita: “E’ il senso della vita”. Un senso che si traduce in ore di studio, sperimentazione, creatività. “Gli abbinamenti mi vengono in mente di notte o mentre guido. Pensa che programmo i viaggi in base alle gelaterie che voglio visitare. Una volta ho avuto una crisi perché a Fano una era chiusa per ferie.” Non è un’esagerazione, è dedizione pura.
Un esempio? Un cioccolato monorigine venezuelano, infuso con rosmarino fresco e una grattata di limone verdello di Sicilia. Una sinfonia di sapori che racconta tutta la sua filosofia: poco zucchero, pochi grassi, tanta verità. “Il gelato buono non ti fa venire sete, non ti sporca la bocca. Ti fa chiudere gli occhi e sorridere”, mi dice con convinzione.
Dietro ogni cono c’è un mondo di fatica che pochi conoscono. “Con le basi industriali in tre ore hai il banco pieno. Noi partiamo la sera prima e finiamo alle quattro del pomeriggio del giorno successivo. E d’state non abbiamo un attimo di respiro” .
Tutto parte da ingredienti locali: latte, panna, ricotta, erbe aromatiche. Ma anche da cacao pregiato che viene da molto lontano e progetti solidali: come quello che ha sostenuto un villaggio peruviano attraverso l’acquisto di cioccolato etico.
E poi c’è il problema del personale. “È difficilissimo trovare persone disposte a imparare, a restare. Offro premi, propongo di entrare in società. Ma manca la voglia. Non solo al Sud. Ovunque”.
Ma Adele non si ferma. Anzi, rilancia. Con un blog per raccontare il gelato in modo autentico. Con una linea di gelati “da mangiare anche in autunno e in inverno”, grazie a un macchinario innovativo che modula il freddo senza caricare i grassi. E poi con confetture, creme spalmabili, succhi di frutta, tutti a marchio “C’era una volta”.
“Voglio creare qualcosa che resti, che vada oltre la stagione, oltre la moda. Il gusto che ci rappresenta? La Ricotta Stregata. Vengono dall’estero per assaggiarla. È il nostro simbolo.”
Dulcis in fundo…una seconda gelateria all’orizzonte. In un’altra città. Ma su questo Adele resta scaramantica. “Ci sono due opzioni. Ti dirò… quando sarà il momento.”
E allora ‘C’era una volta’. Ma c’è ancora. Ed è una favola che profuma di latte caldo, ingredienti naturali, frutta matura e sogni ostinati. Una favola che non finisce mai davvero, perché si rinnova ogni giorno in un cono che scioglie il cuore, in una coppetta che sa di verità, in uno sguardo che si illumina al primo assaggio. Il gelato di Adele non è solo un dolce: è una carezza d’infanzia, un bacio d’estate, una dichiarazione d’amore alla vita semplice, quella fatta di gesti lenti e buoni. È la promessa che anche nel caos di un mondo veloce e confuso, esiste ancora spazio per qualcosa di bello, autentico, genuino.
E allora sì, “C’era una volta”, ma per fortuna c’è ancora. Ed è il luogo dove il tempo si ferma, e ogni gusto racconta una storia d’amore. Una di quelle che – proprio come un buon gelato – non si dimenticano mai.