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Casa LEI: “La riforma del sistema antiviolenza rischia di lasciare senza aiuto migliaia di donne”

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A pochi giorni dalla scadenza del periodo transitorio previsto dall’Intesa Stato-Regioni del 14 settembre 2022, Casa LEI, casa rifugio attiva nella provincia di Benevento, esprime profonda preoccupazione per le conseguenze che l’applicazione rigida dei nuovi requisiti minimi potrebbe avere sull’intero sistema antiviolenza italiano – in particolare nelle aree interne e marginali, dove la presenza dei servizi è già ridotta e spesso garantita solo grazie all’impegno di realtà radicate nel territorio.
A partire dal 14 settembre 2025, numerosi centri e case rifugio con anni di esperienza rischiano di essere esclusi per non soddisfare il criterio della “prevalenza” o “esclusività” dell’attività antiviolenza. Un vincolo che, lungi dal rafforzare il sistema, colpisce proprio le organizzazioni che da tempo operano sul campo, costruendo reti locali, formando professionisti e garantendo continuità nel sostegno a donne e minori vittime di violenza.
Invece di valorizzare questo patrimonio umano e relazionale, la riforma impone criteri burocratici rigidi che escludono strutture solide solo per la loro natura organizzativa o per la pluralità dei servizi offerti. Si dimentica così che la violenza di genere non è un fenomeno isolato, ma una delle molteplici espressioni di un sistema di disuguaglianze sociali, culturali ed economiche. Serve un approccio integrato e multidisciplinare, non l’appiattimento su modelli amministrativi che ignorano la complessità del problema.
Il rischio reale è la creazione di “zone grigie” e vuoti assistenziali, in un momento storico in cui – come certificano anche i dati ISTAT – le richieste di aiuto sono in costante aumento. In territori come il nostro, privare le donne di un presidio sicuro significa lasciarle senza alternative, aggravando la loro vulnerabilità.
Casa LEI, come molte altre strutture in Italia, ha maturato nel tempo competenze specifiche e una presenza costante, offrendo accoglienza, supporto psicologico, assistenza legale ed educativa a chi fugge da situazioni di violenza. Escludere queste realtà non solo significa sprecare anni di lavoro e risorse, ma anche sostituire professionalità con esperienza con figure meno radicate e meno formate, rischiando un abbassamento della qualità del supporto offerto.
Questa impostazione rischia inoltre di favorire una gestione centralizzata e ristretta del sistema antiviolenza, creando una sorta di oligarchia in cui poche grandi organizzazioni decidono, coordinano e gestiscono, a discapito della diversità dei contesti e dell’efficacia degli interventi locali. È una deriva che allontana le politiche dai territori e dalle persone che ne hanno più bisogno.
Chiediamo con forza che venga concessa una nuova proroga, e che si apra finalmente un confronto serio con i territori. Le norme devono essere riviste con buon senso e realismo, riconoscendo la varietà delle esperienze e l’importanza di garantire una copertura capillare ed equa su tutto il territorio nazionale.
In particolare, chiediamo l’eliminazione o la profonda revisione del criterio della “prevalenza”, perché la tutela delle donne non può essere vincolata a schemi amministrativi che non tengono conto del lavoro concreto svolto quotidianamente sul campo.
Il contrasto alla violenza richiede alleanze, integrazione e visione sistemica. Non possiamo permetterci di smantellare presìdi essenziali per la sicurezza, la dignità e la libertà di migliaia di donne