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La riflessione: “Un traliccio a piazza Castello…ma non era meglio il presepe?”

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“Quando l’ho visto per la prima volta, alcuni giorni fa, mi dava l’idea di una di quelle strutture di cui è pieno il Texas: quelle specie di tralicci che servono per l’estrazione del petrolio. Ed ho pensato: “Vuoi vedere che hanno trovato il petrolio a piazza Castello?”. Al di là dell’ironia, abbastanza facile, mi è stato detto che quella struttura verticale dovrebbe servire per creare un ipotetico albero di Natale, o per illuminare a Festa la Piazza e quella parte del Corso Garibaldi dalla quale s’intravede tale struttura. Va bene. Ma allora, mi domando: perché non impiantare un presepe classico e luminoso, ai piedi della struttura verticale, che è alquanto antiestetica, almeno per me? Perché una città di antico lignaggio cristiano, come Benevento, non si cerca di custodire, riportare alla luce, e valorizzare le antiche tradizioni del Santo Natale? O forse abbiamo dimenticato il retaggio cristiano di questa città di nobili origini?

Qui, il Cristianesimo ha trovato terreno fertile, favorito dall’ethos di un popolo di antichissime origini e saldissimi principi morali. Non potevano, difatti, non allignare, in questa Terra Santa di Dio, figure straordinarie come Gennaro, vescovo di Benevento, Festo e Desiderio, pure di Benevento, i tre giovani Beneventani: Paldo, Taso, e Tato, che, animati da uno spirito di ricerca di Dio, fondarono, nell’VIII secolo, l’abbazia di San Vincenzo al Volturno. E altri ancora, come Benedetto da Benevento, artefice, con un gruppo di missionari, dell’evangelizzazione della Polonia, e morto martire; o l’abate Desiderio di Montecassino, Beneventano purosangue, divenuto Papa Vittore III. O ancora: Giuseppe Moscati, nato a Benevento, e Padre Pio da Pietrelcina, non Beneventano ma Sannita, essendo nato santo e cresciuto santo, custodendo, per tutta la sua vita, l’eredità sannitica perfettamente sposata con quella evangelica della sua appartenenza al “Biondo Nazzareno”. 

Ma forse ci siamo dimenticati di una perla preziosa, incastonata in quella altrettanto grandiosa e bella raffigurata dal Chiostro di Santa Sofia (Patrimonio UNESCO)? È la rappresentazione scultorea della Natività, scolpita su un pulvino, e sulla prima colonna visibile a chi entrava nel Chiostro dall’attuale piazza antistante la Chiesa abbaziale”.

La duecentesca Chiesa di San Francesco, a piazza Dogana, è legata alla venuta del santo in città, nel 1222. Francesco predicò nell’antica Chiesa di San Costanzo, poi inglobata nella chiesa dei Francescani conventuali. Ed è molto probabile che Francesco si sia soffermato nell’Abbazia longobarda di Santa Sofia davanti al Presepe scolpito pochi decenni prima dal Maestro dei Mesi e ne sia stato ispirato, realizzando a Greccio, nel 1223, una scena di Natività teatralizzata, con un vero bambino, un bue, e l’asinello: il primo nucleo del Presepe vivente.

Ma torniamo al primo presepe: quello scolpito dal Maestro dei Mesi sulla nuda pietra, del Chiostro di Santa Sofia, a Benevento. Non ci si può non restare colpiti, di fronte a tale rappresentazione plastica della Natività. La Vergine, con la sua veste rigata da pieghe, veglia il Bambino Gesù in fasce, mentre si scorge, di lato, la figura di San Giuseppe. Non poteva mancare, nella scena, l’Angelo che protegge la Sacra Famiglia, e, più in alto, la stella cometa che conduce i re Magi rappresentati dall’altro lato del pulvino. Infine il pastore con le pecore ed il suo cane che completano la scena. Sembra che l’opera risalga al 1150 circa e resta tuttora ignoto il nome del suo autore, anche se, gli studiosi pensano che si tratti del Maestro dei Mesi, così definito per la serie dei mesi e dei lavori ad essi dedicati, scolpita sui pulvini del chiostro.

Benevento ha questo prototipo della Natività, e invece di ripristinare e valorizzare le antiche tradizioni cristiane, impianta, al centro di una delle piazze più belle della città, un traliccio anonimo e insignificante. Ma il sospetto è d’uopo. Visto che sulla stampa nazionale, ogni tanto, trapelano dei segnali, che io chiamerei input che provengono da tutti i movimenti e le correnti politiche che nutrono astio, se non odio, verso il Cristianesimo e la Chiesa Cattolica, non è che da qualche parte si vuole cancellare il Santo Natale? la Festa più importante: non solo della Cristianità, ma anche dell’umanità illuminata, che vede, in tale Evento, uno squarcio di Luce che solca le galassie e lo stesso universo, per infondere un Messaggio di Bene e di Amore in questa storia umana pregna di guerre, ingiustizie, genocidi, spargimenti di sangue, ingiustizie, e tanto altro.

Cancellare il Natale significa buttare alle ortiche, e quindi distruggere barbaramente, venti secoli di Storia Cristiana, nobilitata dalle pagine eroiche e sublimi di tantissimi Santi italiani.

Cancellare il Natale significa alienare le pagine più belle, poetiche, positive, della storia patria: quelle segnate dalle struggenti melodie di Alfonso dei Liguori, come Quanno nascette Ninno, e Tu scendi dalle stelle o Re del Cielo.

Cancellare il Natale vuol dire chiudere per sempre quella luce, quella speranza, quel Bene infinito, quell’Amore che Sant’Agostino ha magnificato, identificandoli in quel Dio che chiama nostalgicamente: “Bellezza tanto antica e tanto nuova”, riconoscendo, quindi, che Cristo ci ha fatto conoscere il Dio che travalica i cieli e le galassie per manifestarsi a noi nel modo più umile, semplice, genuino: in una grotta; per dirci che ci ama di un AMORE infinito.

Cancellare il Natale è rifiutare l’AMORE INFINITO DI DIO per noi. “Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, e vieni in una grotta, al freddo e al gelo. O bambino mio divino, io ti vedo qui tremar. O Dio beato, ahi! quanto ti costò l’avermi amato” (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori). Signor Sindaco di Benevento, vogliamo restituire al presepe la giusta dimensione di bene e di amore?”

Donato Calabrese (storico di Padre Pio, scrittore e appassionato di spiritualità cristiana)

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