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A proposito di don Nicola, di rabbia social e di quella strana sensazione di vuoto in ognuno di noi

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Abbiamo atteso qualche giorno. Lo abbiamo fatto per riflettere, a mente fredda, sull’arresto di don Nicola De Blasio con la pesante accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Nella settimana appena trascorsa abbiamo letto di tutto: la ‘macchina del fango’ targata facebook si è messa in moto ed ha innescato una serie di commenti e riflessioni che lasciano senza parole; accuse e considerazioni irripetibili che piovono sotto gli articoli di cronaca – tantissimi sulla nostra bacheca pubblica – da ‘signor nessuno’ che esprimono giudizi non lesinando offese pesantissime.

Intendiamoci: l’intenzione non è fare la morale a nessuno o provare a dare lezioni di etica, ci mancherebbe, anche perché non siamo lo scoglio che prova ad arginare il mare. Proviamo – con tutti i nostri limiti – a fare un’informazione corretta e gradiremmo che la nostra pagina facebook – seguita da quasi 80mila cittadini e webspettatori – sia uno spazio pubblico dove confrontarsi educatamente, lanciare proposte e idee per migliorare il nostro territorio, esprimere opinioni, anche contrastanti, ma sempre con grande rispetto dell’altro. Le frustrazioni, no. Non le abbiamo mai tollerate.

Inutile, anche se doveroso, sottolineare che finché la vicenda giudiziaria non sarà conclusa, ulteriori commenti sono superflui. L’innocenza, fino a prova contraria, rappresenta una garanzia per i diritti di tutti noi. Una considerazione ancora maggiore per quanto riguarda don Nicola, perché non si tratta di una persona come tante; non è un volto anonimo che si confonde nella massa e al quale addossare colpe. Don Nicola De Blasio è un viso ed un nome familiare a tutta la città: per un motivo o per un altro tutta la comunità beneventana è entrata in contatto con lui. Questa, forse, la motivazione – che non intendiamo giustificare – della rabbia social.

Il suo arresto, inutile negarlo, è stato uno choc. Scriverne o fotografarlo fuori dal tribunale è stato complesso per tutti i giornalisti che fino a poche settimane prima si erano confrontati con lui sui problemi della povertà e del lavoro nel nostro territorio. E quelle immagini sono dure da metabolizzare anche per i tanti che hanno riposto in lui fiducia e affetto.

Parte della città, probabilmente, ha vissuto questa prima fase della sua vicenda giudiziaria come un tradimento di affetti: come se una istituzione granitica, una sicurezza solida fosse venuta meno e in maniera incredibile. Un terremoto senza precedenti, che non si misura in magnitudo della scala Richter ma in brividi di umanità.

Don Nicola rappresentava, anche con i suoi eccessi, il lato ‘meno canonico’ della Chiesa: un’istituzione vicina ai poveri, ma anche un numero di telefono che tutti potevano contattare per qualsiasi esigenza. Tutto questo in un territorio dove preti e carabinieri restano ancora un punto di riferimento per molti.

Questo dunque l’aspetto umano di una storia che ora avrà anche il suo risvolto giudiziario con le aule di tribunale a stabilire la verità processuale. E’ indubbio che don Nicola dovrà spiegare molte cose e dovrà essere convincente, non solo per i giudici, ma anche davanti a quella comunità che oggi si sente smarrita, delusa e arrabbiata. Va letta anche in questo senso la dichiarazione rilasciata dagli avvocati difensori, spiegando che l’ex direttore Caritas si sente ormai un “prete finito”.

A noi non resta che attendere l’esito dell’indagine e del giudizio. Nel frattempo non possiamo che condividere le parole dell’arcivescovo di Benevento, Felice Accrocca, che ha chiesto “equilibrio nell’affrontare questa situazione” che ci ha colpito come un pugno, fortissimo, in faccia.

A noi e a voi che ci leggete quotidianamente, e per questo non smetteremo mai di ringraziarvi, non resta che aspettare e pensare: questa la parola d’ordine affinché ognuno porti avanti la sua personale lotta contro l’odio on line. Ogni qual volta ci parte il giudizio facile, ogni qual volta scegliamo di aderire a degli stereotipi perché ciò che conosciamo ci fa meno paura, ogni qual volta siamo spinti a sfogare le nostre frustrazioni all’esterno, ogni qual volta pensiamo che la nostra azione non abbia una grande conseguenza. A quel punto abbiamo il dovere di fermarci a pensare. Pensare al peso delle parole, al potere reale che hanno anche all’interno di un contenitore on line. Non possiamo permetterci di essere superficiali quando abbiamo nelle mani il potere di generare emozioni. Pensare. Dobbiamo pensare – forse – solo un po’ di più.

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