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ECONOMIA

Il Sannio nel 2100? Saremo in 182mila, di meno rispetto ad oggi e con una popolazione ancora più anziana

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Nel 2020 in provincia di Benevento siamo in 275.588 persone. Nel 2100 saremo in 182.359, oltre 93mila residenti in meno. E’ questa la proiezione demografica dell’Istituto Europeo di Statistica che fotografa una diminuzione diffusa in tutta la Ue ed anche in Italia. A livello nazionale, infatti, il nostro paese potrebbe ospitare circa 9 milioni di cittadini in meno, che porterebbe la popolazione residenti dagli attuali 60 a grosso modo 51 milioni.

Come è evidente dai numeri, non si tratta di un caso che riguarda solo il Sannio, ma ovviamente coinvolge l’intero Paese in dinamiche complesse. Uno spopolamento diverso da quello puramente economico – la migrazione alla ricerca di un posto di lavoro migliore – che abbiamo conosciuto in passato e che stiamo ancora vedendo oggi.

Entrando nel dettaglio degli anni, secondo lo schema il lento declino demografico partirà nel 2030 con una popolazione residente di 264.330 abitanti. Dopo dieci anni scenderemo a 253.649 e negli anni ’50 del 2000 saremo in 240.286. Gli Anni Sessanta del 2000 ci porteranno a 224.306 residenti, mentre una decade dopo scenderemo a 209.553. Nel 2080 andremo sotto le 200mila persone con un saldo di cittadini pari a 198.344. Nel 2090 saremo a 189.228 ed, infine, nel 2100 a 182.359.

Una lenta emorragia, dunque: ma a cosa è dovuto questo calo generalizzato? Giusto per fare un esempio Napoli passerà dalle 3.078.331 persone del 2020 alle 2.299.616 di persone nel 2100 con un saldo demografico in passivo di quasi 780mila abitanti.

Le considerazioni dell’Eurostat sono due: da un lato l’aumento dell’aspettativa di vita e dall’altro la decrescita della natalità. In altre parole, si vive più a lungo e si fanno meno figli rispetto al passato.

“I tassi di natalità costantemente bassi – spiegano da Eurostat – e la maggiore aspettativa di vita stanno dando nuova forma alla piramide delle età dell’Europa; il cambiamento più rilevante sarà presumibilmente il netto invecchiamento della struttura demografica, che risulta già evidente in diversi Stati membri. Ciò significa che la percentuale delle persone in età lavorativa è in diminuzione, mentre il numero relativo di pensionati è in aumento. La quota di anziani rispetto alla popolazione totale aumenterà notevolmente nei prossimi decenni. Ciò, a sua volta, determinerà un onere maggiore per le persone in età lavorativa, che dovranno provvedere alle spese sociali generate dall’invecchiamento della popolazione per fornire una serie di servizi ad esso correlati”.

Sempre secondo l’Istituto “nel 2019 più di un quinto (20,3%) della popolazione dell’UE-27 era composto da persone di età pari o superiore ai 65 anni” e “secondo le proiezioni la percentuale delle persone di 80 anni e più nella popolazione dell’UE-27 sarà 2,5 volte superiore nel 2100 rispetto al 2019, passando dal 5,8 % al 14,6 %”.

Queste considerazioni ci portano a riflessioni, evidentemente, di stampo economico. Un mercato del lavoro solido ed una ricchezza diffusa possono essere un deterrente non per fermare, ma almeno rallentare, il processo di spopolamento. E’ ovvio che si tratta di dinamiche complesse che non possono essere affrontate dai singoli territori, ma il vecchio adagio ‘Chi fa da sé fa per tre’ potrebbe rilevarsi, alquanto, utile. Iniziare a programmare oggi il benessere delle generazioni future appare indispensabile: occorrono programmazione, lungimiranza e una reale sinergia tra i territori più piccoli. La perdita di popolazione non è solo un dato statistico sul quale ragionare, ma coinvolge cultura, tradizioni, prodotti tipici e un territorio che tra 80 anni rischiano di sparire insieme a 93mila persone.

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