Opinioni
Legalità, le riflessioni di uno studente nel giorno della strage di via D’Amelio

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Le scrivo, scusandomi per l’eccessivo ritardo, affinchè possa, attraverso la testata che dirige, diffondere un messaggio spesso dimenticato ma sempre attuale.
A tal proposito oggi, la strage di Via D’Amelio, ci rimanda ad anni difficili. Anni dove uno Stato debole combatteva uno stato forte, rinforzato da traffici economici prolifici, dal controllo del potere e vorrei dire anche dalla miopia (voluta?) di chi non aveva compreso la gravità del fenomeno che si stava sviluppando.
L’omicidio di Paolo Borsellino, così come quello pochi mesi prima di Falcone, dovevano essere una scossa per il mondo intero ma principalmente per gli italiani. Un terremoto che facesse crollare ogni forma di omertà, di avallo alla criminalità, di collusione. E invece su quelle macerie abbiamo ricostruito, in forma diversa, lo stesso tessuto sociale poco attento all’argomento della criminalità e lontano dal combattere i problemi che questa porta con se’. Quando partecipai per la prima volta alla “Nave della legalità” a Palermo, in quell’aula dove tuonarono le condanne del maxi-processo, capii, oltre a quello che avrei voluto fare nella vita, l’importanza della testimonianza come contributo pratico ed efficace che ognuno di noi dovrebbe essere. Ebbene sì, la testimonianza non si porta, la testimonianza è una forma dell’essere. E’ un impegno che ognuno di noi sente in quei doveri spontanei di educazione verso l’altro. Chi sceglie di essere educatore assume su di se’ una responsabilità che va al di là di ogni ruolo e uno Stato deve scegliere di esserlo.
Con i suoi uomini, le sue forze, la sua organizzazione, dovrebbe trasmettere il valore della legalità come reale tessuto connettivo della società moderna, perseguendo una concreta educazione alla legalità diventata impossibile in un contesto dove, nell’agire quotidiano, prevalgono forme di insoddisfazione, risentimento, disaffezione, sfiducia collettiva: emozioni che ricadono inevitabilmente sui cittadini come peso delle proprie personali disillusioni. Uno Stato dove le forme di malcostume hanno permeato ormai anche i più alti livelli istituzionali, deve riprendersi la propria credibilità attraverso modelli di condotta positivi. “La corruzione è l’anticamera della mafia” faceva notare Borsellino, “La mafia non è un cancro proliferato su un tessuto sano, vive in perfetta simbiosi con la miriade di prottetori, complici, informatori, debitori, grandi e piccoli maestri, cantori, gente intimidita e ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura”. Forti anche le parole di Falcone nel ricordarci che, nella quotidianità, non va dato spazio a nessuna di queste situazioni per poter essere liberi di combattere e di cercare un cambiamento. Un cambiamento possibile soltanto se saremo capaci di testimoniare alle nuove generazioni il senso diretto e personale della responsabilità, se saremo capaci, in quanto comunità educante, di far nascere negli altri un desiderio autentico di legalità che è salvaguardia di giustizia ed equità, di democrazia, che è sano equilibrio di diritti e doveri, che è radice del rispetto dell’altro come di se’ nell’ambiente circostante che è spazio di comunità. Dal progetto della legalità democratica nascerà quel mondo migliore che è compito dei giovani costruire e dovere degli adulti garantire per il benessere comune. (Luca Cavalli)