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Sviluppo, la ricetta di Unimpresa: “Riduzione della dipendenza da fonti fossili e rivalutazione delle economie locali”

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“La saldatura tra i piccoli contadini, i commercianti al minuto, le piccole e medie aziende, gli artigiani e i professionisti radicati nel territorio in cui vivono, può avvenire rivalutando le economie locali, con l’obbiettivo di ridurre al minimo la dipendenza dalle fonti fossili e realizzare la maggiore autosufficienza produttiva”.

Ad affermarlo in una nota è Ignazio Catauro, presidente di Unimpresa Benevento.

“Scelte di questo genere – aggiunge Catauro – possono essere fatte solo su di una base volontaria molto convinta e sentita. Essa è finalizzata al raggiungimento della massima autonomia nella produzione alimentare, energetica e nelle produzioni necessarie a soddisfare i bisogni fondamentali: edilizia, abbigliamento, arredamento, utensileria, attività artigianali, riparazioni e manutenzioni.

La riduzione al minimo della dipendenza dalle fonti energetiche fossili implica scelte decise e convinte: l’abbandono di un’agricoltura fortemente “chimicizzata” e il conseguente sviluppo di un’agricoltura comunemente definita “biologica”, una maggiore valorizzazione della stagionalità dei prodotti e la inevitabile riunificazione dell’agricoltura con l’allevamento animale.

L’auspicato accorciamento delle filiere e la riduzione delle intermediazioni commerciali tra produttori e consumatori finali, la maggiore diffusione di fonti rinnovabili in piccoli impianti per l’autoconsumo con lo scambio di eccedenze in piccole reti collegate tra loro.

L’aumento dei prezzi delle fonti fossili e la progressiva riduzione della loro disponibilità sul marcato mondiale, – continua il presidente Unimpresa – renderà sempre più conveniente l’agricoltura cosiddetta di “vicinato” comunemente detta anche a km 0, che potrà essere facilmente implementata dalle straordinarie conoscenze scientifiche acquisite negli ultimi decenni. La conseguenza immediata dell’abbandono graduale della chimica in agricoltura sarà un inevitabile aumento del numero di occupati nelle stesse attività agricole con un conseguente controesodo di quote non marginali di popolazione dalle città alle campagne.

In un’economia globalizzata le piccole e medie aziende possono trovare spazio solo nella produzione di semilavorati e componenti per le aziende che operano sul mercato mondiale (indotto) o nella produzione di prodotti finiti per conto di grandi marchi che operano sul mercato mondiale (contoterzismo). Solo liberandosi dai vincoli della globalizzazione e producendo per il mercato locale in cui sono inserite, solo offrendo prodotti finali ad acquirenti del territorio in cui operano, queste aziende possono valorizzare la ricchezza della loro professionalità, della loro creatività e della loro esperienza.

Tutti gli oggetti e i servizi necessari a una vita in linea con gli standard di benessere che caratterizzano i Paesi industrializzati – spiega – possono essere offerti dalle piccole e medie aziende distribuite capillarmente sul territorio, che nella prospettiva devastante della globalizzazione possono essere considerate fattore di debolezza, mentre nel contesto di una politica economica finalizzata a consolidare l’autosufficienza e la capacità di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, diventano soggetto forte e propulsivo di sviluppo.

Il tutto – conclude Catauro – finalizzato a ricostruire il tessuto economico di un territorio restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere quella “umanità” che caratterizza positivamente le realtà locali e che costituiscono il loro straordinario punto di forza”.

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