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Tbc. L’associazione Rete sociale onlus chiede chiarezza

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In una lettera aperta al presidente della Commissione per gli errori sanitari, al Ministro della Salute, al presidente della Regione Campania, al direttore generale della Asl e alla stampa l’associazione Rete sociale onlus interviene sulla vicenda tubercolosi che nelle ultime settimane ha occupato le cronache locali e nazionali.

“Non volevamo intervenire – precisano dall’associazione – sia perché non condividiamo certi “modi” utilizzati sui media che finiscono solo per fare disinformazione; sia perché speravamo che la conferenza stampa del direttore generale del Rummo, Nicola Boccalone, sbrogliasse questa ingarbugliata vicenda. La vicenda, cioè – per ricordarla in un flash – della bambina di 10 anni affetta da tubercolosi che il 10 aprile scorso – dopo un consulto all’ospedale Rummo oggetto di proteste da parte del responsabile del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dott. De Lorenzo – è stata ricoverata a Roma; del familiare della bambina, responsabile del contagio che, ricoverato il 2 gennaio nel SPDC, è stato trasferito 3 giorni dopo al Rummo dove, con diagnosi accertata il 10, è morto di tubercolosi il 19; di un’altra bambina di 2 anni contagiata da TBC che pure aveva una “familiarità” con il deceduto, ricoverata il 16 marzo al Rummo e trasferita il 25 marzo a Siena.
Nella conferenza stampa, però, sono cadute le accuse rivolte al Rummo, ma sollevati altri interrogativi – scrive Rete sociale onlus- sul comportamento dei responsabili della Asl, del dirigente del SPDC e del medico di base del deceduto (moglie di De Lorenzo, come egli stesso avrebbe dichiarato alla stampa): che cosa è stato fatto da gennaio, quando il Rummo ha ufficializzato la malattia infettiva, per evitare il contagio di personale e pazienti del SPDC, soprattutto del paziente che per 3 giorni ha diviso la stanza con il tubercolotico? E’ certo che nessuno di loro rischia il contagio?

Perciò – come Associazione che tutela gli interessi e i diritti dei pazienti psichiatrici – abbiamo deciso di intervenire (anche tramite il nostro blog ilenzuolibanchi.wordpress.com) affinché venga fatta chiarezza sull’unico aspetto della vicenda che ci interessa: il corretto funzionamento del SPDC che, con 10 posti letto, deve fronteggiare le emergenze psichiatriche dei 300.000 abitanti del Sannio.

Servizio che, come l’opinione pubblica ricorderà, abbiamo già difeso strenuamente scendendo in piazza coperti da “lenzuoli bianchi” perché non fosse trasferito a Sant’Agata dei Goti: per il quale, dunque, continueremo a batterci perché assolva al suo compito con competenza ed efficienza. Perché se si dovessero verificare disservizi e ricoveri “impropri”, oltre allo spreco del (nostro) denaro pubblico, ciò impedirebbe di soccorrere chi ne ha più bisogno o lo costringerebbe a farsi ricoverare in un SPDC lontano dai familiari, dagli amici, dagli affetti con tutte le aggravanti psico-fisiche che ciò comporterebbe: e che era proprio quello che – avversando il trasferimento a Sant’Agata dei Goti – volevamo evitare. Perciò oggi chiediamo alle autorità cui è rivolta questa lettera aperta, di aiutarci a dare una risposta ai numerosi interrogativi emersi da questa storia, fra i quali:

– E’ prassi che una persona con problemi respiratori e di alcolismo venga ricoverata presso il servizio psichiatrico?
– E’ prassi che questo ricovero in SPDC si ripeta per 9 volte in tempi ravvicinati?
– Chi ha prescritto i ricoveri, la loro durata e le relative terapie?
– E’ stato fatto tutto il possibile per evitare la morte dell’uomo, il contagio delle due bambine e rischi di contagio per i pazienti e il personale del SPDC? “

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