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Acquedotto del Taburno, il Tar dà ragione al Cabib nella controversia con Gesesa: riceverà 152mila euro

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Il presidente del Cabib, Angelo Aceto, è intervenuto con una nota sulla controversia giudiziaria per delle somme dovute al suo ente da parte della Gesesa in merito alla fornitura di acqua potabile dall’Acquedotto del Taburno.
“Giusto venti anni fa – scrive Angelo Aceto, presidente del Cabib – nascevano i presupposti per una causa che ha avuto la sua sentenza da parte del Tar, martedì scorso, 27 maggio e che ha dato ancora una volta ragione al Cabib in una disputa giudiziaria nei confronti di Gesesa.
I fatti si riferiscono alla fornitura di acqua potabile dall’Acquedotto del Taburno, il cui ramo ex Casmez la Regione Campania, nel 1993, aveva affidato al Consorzio.
Da questa condotta il Cabib ha rifornito la Gesesa (all’epoca Beneventana Servizi) la quale ha ritenuto però di non dover pagare quest’acqua adducendo un titolo di gratuità per 5 litri al secondo, titolo datato addirittura agli inizi del secolo scorso ma che la Società non mai potuto esibire al Tribunale.
Il Consorzio – continua Aceto – ha portato la richiesta di pagamento del dovuto all’attenzione del Tribunale di Benevento che ha dichiarato il suo difetto di giurisdizione; la Corte di Appello di Napoli ha dichiarato successivamente inammissibile il ricorso del Cabib. Poi il Consorzio ha portato il fatto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione che ha indicato nel Tar il giudice di questa controversia.
Ed è stato proprio il Tribunale Amministrativo Regionale, adito dal Consorzio con la richiesta di vedersi riconosciuta la somma di 152mila euro, che ha ora pronunciato la sentenza favorevole al Consorzio.
Questa positiva chiusura della lunghissima vertenza – sottolinea il presidente – è frutto, oltre che della competenza professionale dell’avvocato del Consorzio, Luigi Giuliano, certamente anche della perseveranza della struttura del Cabib che in venti anni non ha mai ritenuto, nonostante le “sconfitte” trovate lungo il percorso dell’iter giudiziario, di dover demordere e di abbandonare la legittima pretesa di vedersi riconosciute delle legittime entrate.
Questa somma, modesta o corposa che sia, – conclude Aceto – la lascio come “eredità” al mio successore che certamente ne saprà fare un uso giusto ed oculato ancora una volta nell’interesse dell’Ente”.