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CULTURA

Educazione allo Sviluppo, la riflessione dell’ex rettore Filippo Bencardino

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“La presentazione del XIX Corso Multidisciplinare di Educazione allo Sviluppo, organizzato dall’Unicef in collaborazione con l’Università del Sannio, è una utile occasione per riflettere sul significato del Corso e sulle sue relazioni con le attività formative dell’ateneo. Tre sono le parole-chiave del Corso. La prima parola è la multidisciplinarità.

Storicamente nel nostro Paese è stata sempre avvertita una contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica. La riforma Gentile sancisce definitivamente il primato della formazione umanistica ed elitaria destinata a preparare la classe dirigente dell’apparato statale. Soltanto negli anni Novanta si ha una inversione di tendenza. E’ soprattutto il Ministro Ruberti che sottolinea la necessità per il nostro Paese di dare più spazio alle discipline scientifiche e alla ricerca, indispensabili per promuovere uno sviluppo orientato all’innovazione e alla competizione internazionale.

All’incremento dei finanziamenti nei settori tecnologici corrisponde però una riduzione degli investimenti nella cultura e delle discipline umanistiche, considerate non utili allo sviluppo. Eppure già tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta lo scrittore inglese Charles Snow, consulente del governo britannico per lo sviluppo tecnologico, aveva sottolineato nel suo libro “Le due culture” come la complessità, caratteristica della realtà contemporanea, esigeva una formazione multidisciplinare, la sola idonea a favorire la comprensione dei problemi. In verità, ancor prima di Snow, era stato il nostro Carlo Cattaneo, meglio conosciuto per le sue idee federaliste, a parlare già nella seconda metà dell’Ottocento di “federalismo delle conoscenze”, con chiaro riferimento alla necessità di una formazione non settoriale.

La seconda parola-chiave è lo sviluppo. E’ sempre più urgente riflettere sulla necessità di elaborare un nuovo modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente e delle sue risorse, attento alla qualità della vita, con la tecnologia che dovrebbe favorire l’emergere di nuove forme di lavoro in grado di rendere l’uomo più libero, con più tempo da dedicare allo svago e alle attività culturali, senza essere “schiavizzato” dagli imperativi dettati della competizione globale.

Ma è la terza parola-chiave, l’educazione, che mi sembra la più importante. Oggi la scuola e l’università sembrano formare i nuovi “ignoranti alfabetizzati”, o meglio informatizzati, ossia formati sulla base delle esigenze della grande industria, secondo una logica neoliberista. Sono persone ad alto rischio di obsolescenza, da espellere e da sostituire con personale più funzionale alle esigenze del momento e a più basso costo . In quest’ottica, il quadro delle istituzioni universitarie si presenta oggi assai diversificato, poiché ogni categoria sociale tende a farsi la propria università per formarsi il proprio “lavoratore”.

Spetta pertanto alla scuola e alla università statali offrire una formazione che contempli un approccio multidisciplinare, in grado di fornire gli strumenti necessari per dare allo studente non solo percorsi professionalizzanti, ma anche e soprattutto quelle metodologie in grado di farne un soggetto autonomo e soprattutto un futuro cittadino attivo.

Gli anni Ottanta e Novanta sono stati per Benevento anni molto significativi. Con il sindacato di Antonio Pietrantonio e con la presidenza della Provincia dell’on. Carmine Nardone sono state elaborate strategie di sviluppo incentrate sul ruolo del capoluogo come centro di servizi di livello superiore prima e centro dell’innovazione poi.

In tale contesto la richiesta della istituzione di una università non era espressione di una mera politica campanilistica, quanto piuttosto uno strumento imprescindibile per la formazione di nuove professionalità e di elaborazione di nuova conoscenza, come motore della trasformazione economica, politica e socio-culturale di tutto il Sannio. Cosa rimane attualmente di quella stagione, di quella temperie culturale? Ben poco, secondo me.

Oggi Benevento sta vivendo un periodo di crisi economica ed occupazionale, di immobilismo politico e di mancanza di stimoli culturali. Manca un disegno strategico di sviluppo complessivo della società. Anche l’Università sta attraversando un momento di crisi. Ha perso quella vivacità iniziale e soprattutto è un lontano ricordo la sua missione di soggetto dell’ innovazione e della trasformazione sociale che era àa missione principale del progetto originario.

L’Università del Sannio è nata nei conflitti, ma alla contrapposizione tra gruppi, coesi tra loro, espressione di una diversa visione dell’università (difesa dell’autonomia vs dipendenza da altri centri universitari), oggi a me pare sia presente una conflittualità incentrata sull’individualismo e finalizzata al perseguimento di interessi particolari.

La contrapposizione investe i rapporti interpersonali, sfociando talvolta anche nella emarginazione di alcuni, considerati i nemici da ostacolare. Si mortificano le competenze e, anziché promuovere il dialogo interdisciplinare, si tende a disgregare i gruppi scientifico-disciplinare per acquisire consenso intorno a maggioranze a geometria variabile. Gli accordi il più delle volte sono il frutto di interessi reciproci senza il necessario riferimento a progetti formativi o a visioni strategiche dell’Ateneo.

Ma ancora più grave è il fatto che questi conflitti coinvolgono spesso anche i più giovani, invitati a schierarsi a favore dell’uno o dell’altro, così che viene messo in crisi anche un ricambio generazionale improntato alla collaborazione. I nostri migliori giovani cercano, così, altre strade poiché non trovano qui le condizioni favorevoli per far valere il proprio merito.

Le decisioni dovrebbero tener conto delle reali esigenze degli studenti, ma spesso sono dettate dalle lobbies accademiche.

Insegniamo ai nostri studenti che lo sviluppo è incentrato sulla coesione, sulle reti, sulla cooperazione e sulla condivisione di un progetto comune, ma poi la testimonianza mostra un profondo gap tra teoria e prassi.

Mi auguro che il Rettore voglia ripristinare gli spazi di democrazia all’interno dell’ateneo, al fine di garantire a tutti i membri della Comunità gli stessi diritti e le stesse opportunità.
L’autonomia culturale è sempre più a rischio. A me pare che Benevento stia sempre più diventando il bacino di colmata delle esondazioni napoletane. Ai referenti napoletani ci si rivolge persino nei momenti elettorali per condizionarne il risultato.

L’Università per alcuni è soltanto un’opportunità da cogliere, strumento di immagine per fini politici o professionali. Si avverte sempre più una disaffezione da parte di molti.

Un’istituzione formativa che si basa su questi valori non è assolutamente idonea a favorire lo sviluppo del pensiero critico e creativo a formare la persona, a diffondere la cultura della cittadinanza attiva, ossia a favorire la formazione di una classe dirigente attenta al bene comune, protagonista del cambiamento e dell’innovazione istituzionale e territoriale.

Sento tutto questo come un fallimento personale, ho spesso la sensazione di avere sprecato trent’anni della mia vita pensando di realizzare un progetto che poi è miseramente abortito. Col senno di poi non rifarei oggi certe scelte.

La cultura è libertà, è dialogo, è confronto al di fuori di ogni pregiudizio e di ogni condizionamento preconcetto. Il nostro comportamento deve rappresentare un esempio per i giovani a noi affidati. La cultura non contempla pratiche clientelari.

Abbiamo una responsabilità non solo nei confronti dei giovani e delle loro famiglia, ma anche nei confronti della città, che tanto ha dato all’università nella fase istitutiva. Fanfani diceva che le istituzioni viaggiano sulle gambe degli uomini (e delle donne, avrebbe detto oggi).

Spetta, secondo me, pertanto alla scuola e all’università statali, dare prospettive diverse al nostro Paese, favorire una vera rivoluzione culturale

L’università sannita produce, in alcuni settori, ricerca di eccellenza, ma l’università è cosa ben diversa dal CNR o da altro centro di ricerca. La sua missione è quella di elaborare nuova conoscenza e trasmetterla attraverso l’insegnamento, che deve avere anche contenuti valoriali positivi. La comunità universitaria è formata da studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo. Tutti hanno pari dignità, ma la centralità è dello studente e non dei professori.

Ma se la scuola e l’università pubbliche non sempre sono in grado di assolvere al compito di formare una nuova classe dirigente, come possiamo sperare nel cambiamento?

Per sperare nel cambiamento è necessario l’impegno di tutti, avere speranza e fiducia. Spero che ognuno di noi rifletta sullo stato dell’arte, senza infingimenti. Dobbiamo essere tutti soggetti responsabili, attenti alle esigenze di tutti i membri della Comunità, soprattutto del personale tecnico-amministrativo, che da un eventuale ridimensionamento dell’ateneo, pagherebbe il prezzo più alto”.

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